Barcellona
Poliuto si risveglia
Il ritorno dell'opera di Donizetti, nell'edizione critica dell'originale italiano con qualche aggiunta (vedi sinfonia) da Les Martyrs, dopo più di quarant'anni di silenzio, è stata una decisione coraggiosa e ben pensata, anche se in forma di concerto, ma se aveva il meritato successo, troppi erano i posti vuoti alla prima delle due serate. E si potrebbe capire per una serie di motivi, ma che un pubblico che si reputa donizettiano doc – tre titoli in tutta la stagione lo fanno l'autore più eseguito quest'anno – non venga attirato almeno da certi nomi nella compagnia lascia soli e pensosi. La concertazione era di Daniele Callegari, probabilmente non sempre esaltante ma assai efficace, anche con le tendenze bandistiche e alcuni eccessi nella dinámica: in particolare si deve applaudire la scena finale del secondo atto, quella che tutti citano come antecedente della più famosa del trionfo nell'Aida verdiana. Orchestra e coro, istruito come sempre da Conxita García, si mostravano in buona forma.
Opera di belcanto per autentici mostri (nel senso positivo del termine), aveva le sue colonne portanti nell'interpretazione dei due protagonisti: Gregory Kunde, un tenore dalla longevità davvero ammirevole e in ruoli difficili della sua corda, e Sondra Radvanovsky che per la prima volta vestiva (si fa per dire) i panni di Paolina in quel che è stato, a mio modesto parere, il suo momento migliore – finora – al Liceu: forse solo l'Aida del suo debutto in loco sarebbe una seria concorrente. Se la voce di Kunde è di notevole caratura, estensione e squillo, quella del soprano è ancora più voluminosa ed estesa, e le sue messe di voce erano, questa volta sí, splendide.
Gabriele Viviani (Severo), arrivato per sostituire Luca Salsi che per fortuna aveva già avvertito per tempo della sua non disponibilità, era anch'esso notevole (gli acuti magari hanno la tendenza ad aprirsi), ma con uno strumento di notevoli dimensioni anch'esso, usciva a testa alta da momenti molto compromessi, come la cabaletta dell'aria di sortita.
Rubén Amoretti forniva un'interessante prestazione come il cattivissimo (certo, sacerdote pagano) Callistene, che se al bel timbro avesse aggiunto più volume, in particolare nella sua aria con coro dell'atto terzo, sarebbe stato l'ideale per il ruolo. Va notato anche il tenore Alejandro del Cerro (Nearco) che in una parte difficile e di scarse soddisfazioni dimostrava delle qualità poco frequenti. Bene il Felice di Josep Fadó e corretti i membri del coro che cantavano le poche frasi dei due cristiani.
Le ovazioni e l'entusiasmo dei presenti – meritatissimi – facevano dimenticare per un momento quei posti vuoti...
Jorge Binaghi
13/1/2018
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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