Qui base della tranquillità
In una calda serata d'estate va in scena a Macerata una rappresentazione della Norma misurata, cesellata, acciaio, laterizio e luce. Il primo piano che vogliamo sottoporre all'attenzione dei lettori è quello musicale: un primo piano appunto, perché la musica e le voci costituiscono la spina dorsale della versione firmata da Maria Mauti, una rappresentazione che comprende, metabolizza e fa fiorire, a nostro parere, lo spirito originario di una delle prime opere del Romanticismo italiano; un'opera che si potrebbe ascoltare ad occhi chiusi, e immaginare per tutto il resto. I più assidui frequentatori di Bellini lo sanno infatti che Norma è un'opera che scivola via dolce e perfetta nella sua semplicità. Servono allora cantanti devoti alla partitura, leggeri come farfalle, innamorati della musica. Qui, a Macerata, il cast brilla per la solidità del mestiere e per la capacità di galleggiare tra le note, tessendo la melodia, vera regina dello spettacolo.
Facciamoli all'inizio di queste righe gli applausi di fine spettacolo, cominciando dalla protagonista, Marta Torbidoni: si parlava di farfalle e questa cantante stupisce per la capacità di compiere voli radenti e ascese velocissime – per dirla con Battiato – un controllo della dinamica e del vibrato che sono davvero una bellissima sorpresa. Adalgisa, Roberta Mantegna, non è affatto da meno, incarnando perfettamente la sfumatura caratteriale di giovane dolcezza che costituisce un impasto melodico di grande qualità, apprezzabile soprattutto nei duetti. La Clotilde di Carlotta Vichi suggella la qualità del trio femminile con precisione e meticolosità.
La triade delle voci maschili forma una sorta di simmetria con quelle femminili: il Pollione di Antonio Poli è carico di emotività, potenza e tecnica, contrapposto al carattere audace e nervoso del gregario Flavio, interpretato da Paolo Antognetti; chiude e dà struttura all'insieme l'Oroveso di Riccardo Fassi, solidità e struttura, un albero maestoso tra le querce della sacra selva.
Il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini diretto dal maestro Martino Faggiani, risulta ben integrato dal punto di vista musicale, compatto e ben disposto dal punto di vista registico, con scelte di sistemazione sulla scena che sfruttano in maniera sapiente ed efficace l'effetto di riverbero proveniente dall'enorme fondale.
Per quanto riguarda l'Orchestra Filarmonica Marchigiana, condotta dal maestro Fabrizio Maria Carminati, condividiamo l'impressione suscitata in alcuni spettatori e ascoltata all'uscita, e cioè la mancanza di sufficiente potenza nelle fasi iniziali dello spettacolo, oltre ad un adeguato supporto negli adagi e nei passaggi più delicati.
In una breve intervista, la regista ricorda la commozione e l'empatia che la vicenda di Norma continua a suscitare in lei, anche dopo mesi di lavoro, quando le decisioni sull'interpretazione dell'opera sono state prese e si tratta solo di perfezionare la messa in scena. Questa attitudine, come già accennato, è davvero evidente. La mano femminile si nota eccome: la volontà di osservare e ponderare, anziché tracciare un segno forte e prevalere, è palese nelle indicazioni impartite agli attori, nei movimenti puliti e concettuali, nell'uso degli oggetti di scena che trascendono in elementi simbolici. Con una sapiente gestione della prossemica, che si risolve in un'interessante commistione di danza contemporanea e teatro d'avanguardia, La compresenza in scena delle protagoniste è condotta dividendo lo spazio a metà in maniera simmetrica, in cui la regola è l'equilibrio compositivo. E' un'intelligente lettura del genius loci, dove piani verticali e frontalità la fanno da padroni e, oltre a questo, un interessante parallelismo con quello che fa Bellini in musica: corrispondenza tra emozioni e suono da una parte, sintonia tra testo e movimenti dall'altra.
Completano la realizzazione gli ottimi costumi realizzati da Nicoletta Ceccolini: essenziali, evocativi, in linea con lo spirito della messa in scena.
Il lavoro di un recensore, si sa, consiste nel commentare il lavoro di altri e di sicuro non nel sovrapporre a questo la propria visione, ma vorremmo comunque riportare alcune impressioni riguardo alla scelte scenografiche ed illuminotecniche
– le luci sono di Peter van Praet – sperando di non offendere nessuno con queste parole. Una versione della Norma come questa infatti, avrebbe meritato a nostro avviso un uso più consistente di proiezioni “studiate”, continuando e sviluppando la bella idea proposta nel preludio, in cui due bambini si ricongiungono alle proprie ombre, proiettate sul fondale. Invece le luci risultano in alcuni casi sovrabbondanti e chiassose, con un largo uso degli apparecchi in ribalta che producono ombre scomposte e sovrapposte.
Tuttavia nel complesso le trovate scenografiche dello studio Garcés-de Seta-Bonet Arquitectes in collaborazione con Carles Berga si rivelano di altissima qualità: linee pulite ed essenziali per un sistema di quattro enormi scalinate mobili in acciaio e lamiera forata – le abbiamo trovate incredibilmente simili a Casa Malaparte di Adalberto Libera – manovrate però da tecnici i quali, ahimè, risultano in alcuni casi un po' troppo presenti; è bellissima la trovata dei controluce provenienti dai tre varchi sul fondale, che collaborano in modo geniale con la grande luna appesa alla parte sinistra dell'enorme muro, un manufatto cilindrico illuminato a led, vero protagonista muto dell'opera, una sorta di centrale emotiva che comunica con il pubblico cambiando colore a seconda dell'umore dello spettacolo. Insomma, quello che fa Stanislav Lem in Solaris, il pianeta che legge le emozioni della nostra specie e le rende materiali, qui lo fa una Luna elettrica. Ma vi assicuriamo che la dimensione magica e ancestrale è assicurata.
Giovanni Giacomelli
22/7/2024
Le foto del servizio sono di Simoncini.