RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La Musica è a Casa

Forse Guilhermina Suggia – che nelle foto d'epoca vediamo sempre rigorosamente concentrata sul proprio strumento, con una grazia severa e castigata da donna d'inizio Novecento ancora molto ottocentesca – per una volta avrebbe sorriso, scoprendo che una costruzione tanto avveniristica sarebbe stata dedicata a una creatura “antica” come lei. Sta di fatto che, giustamente, proprio alla grandissima violoncellista portoghese è intitolata la sala principale della Casa da Música: auditorium dall'ardito Konzept architettonico decostruttivista (ideatore l'archistar olandese Rem Koolhas) che dagli inizi di questo secolo ha riqualificato Porto, oggi non più seconda città del Portogallo un po' schiacciata dalle meraviglie di Lisbona e dal prestigio accademico di Coimbra, ma metropoli culturale e turistica in crescita costante.

Lontana dal cuore pulsante della città ma molto ben collegata, una scalinata di alluminio e vetro ad accogliere il pubblico, undici piani tra sopraelevati e interrati in un profluvio di ambienti (aree di studio, laboratorio, spazi conviviali…) che vanno ben oltre le due sale di ascolto, Casa da Música può contare su tre orchestre residenti, delle quali almeno l'Orquestra Sinfónica do Porto ha ormai rinomanza internazionale. Una programmazione articolata e concerti sempre ben impaginati – filosofia “da festival”, più che da stagione concertistica tradizionale – ne fanno una realtà di primo livello non solo in ambito lusitano; e, infatti, gli spettatori arrivano sempre più spesso anche dall'estero.

L'Orquestra Sinfónica do Porto era appunto al centro del primo dei due concerti su cui si basa questa breve ricognizione. Ma forse dire “al centro” è inesatto. Il nucleo della serata ruotava attorno a un ensemble ormai entrato nel mito come l'Arditti Quartet, che si è incastonato all'interno della compagine portoghese come un unico, proteiforme solista. Del gruppo storico che mezzo secolo fa diede vita al quartetto resta solo il primo violino, Irvine Arditti; rimane invece intangibile il marchio di fabbrica, ossia la vocazione a promuovere la musica contemporanea o – sarebbe forse oggi il caso di dire – quel modernariato ormai rappresentato da certe composizioni degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Che può assumere esiti, però, assai diversi tra loro.

Intitolato Portogallo in Germania, il concerto mette appunto a confronto due compositori che furono entrambi figli dei corsi di Darmstadt (il portoghese Emmanuel Nunes e il tedesco Helmut Lachenmann), in brani quasi coevi (1977 e 1980) e di analoga durata (una quarantina di minuti a testa). Tuttavia, la “suite per danza” di Lachenmann mostra le rughe di uno sperimentalismo un po' invecchiato, che sembra non aver più fiducia nelle capacità espressive della pura musica (anche se i quartettisti dell'Arditti sono formidabili nello scompaginare i confini tra rumore e suono) e dove l'elettronica non è un ingrediente semantico, ma rappresenta le colonne d'Ercole d'un “altrove” fonico. Mentre, al contrario, la pagina di Nunes (Ruf, per orchestra ed elettronica: qui il quartetto manca) ripropone la grande tradizione sinfonica novecentesca – non escluse certe suggestioni postromantiche come gli echi della natura, e qui l'elettronica gioca il ruolo di ulteriore strumento orchestrale – debitamente introiettandola e rivitalizzandola. Ne sortisce un brano suggestivo, ancorché permeato da molti passaggi inquieti, ed evocativo al pari del titolo (Ruf in tedesco significa “chiamata”, ma pure “richiamo”), che la direzione di Stefan Blunier restituisce in ogni piega, così come aveva saputo esaltare la ritmica “danzante” del brano di Lachenmann: con quella capacità di andare sottotraccia propria delle bacchette che, sì, frequentano il repertorio contemporaneo, ma confrontandosi anche con autori più classici. Né potrebbe essere altrimenti, essendo Blunier è il direttore musicale dell'Orquestra Sinfónica do Porto.

L'orchestra era invece assente nel secondo concerto, interamente incentrato sul Coro di Casa da Música: un addio alla bella stagione andato in scena proprio il 22 settembre, giorno dell'equinozio d'autunno, con una serata intitolata Profumo d'estate. Diretti con la leggerezza della precisione dall'eccellente direttrice slovena (eccezionalmente ospite a Porto) Martina Batic, i diciotto coristi – cinque i soprani e i bassibaritoni, quattro i contralti e i tenori – hanno circumnavigato un percorso musicale a soggetto estivo ora nostalgico e ora ironico, ora colto e ora folk, ora da salotto e ora da bettola. Diciotto voci formidabili nell'amalgama come nell'intonazione (canto quasi sempre a cappella, solo in due brani era previsto il pianoforte), come si nota già dai brani dei fratelli Mendelssohn in apertura, destinati a musicisti impeccabili: Felix per la sapienza dei canoni e dei fugati che costellano tre dei suoi Sechs Lieder (coristi meno avvertiti e una direttrice meno salda si sarebbero persi per strada), Fanny per la giustapposizione tra voci maschili e femminili – metafora molto muliebre, e neanche troppo sotterranea, d'uno scontro fra i sessi – che intride il suo Nachtreigen. Nel prosieguo, invece, domina la musica inglese: il Delius riverberato del Midsummer Song e quello puramente vocalizzato (altro banco di prova formidabile per un coro) di Two Songs to be sung of a Summer night on the water; il Britten operistico di Gloriana con le sue Choral Dances, in cui il Coro di Casa da Música trova una flessibilità canora davvero danzante; varie pagine di musica popolare arrangiate ora da Holst ora da Vaughan Williams.

Difficile stilare graduatorie fra i registri vocali: tutte le sezioni sono esemplari, benché i tenori si ritaglino gli squarci più abbacinanti, a cominciare dal fulmineo intervento solistico – in Delius – di Fernando Guimarães, con un falsetto limpidissimo che galleggia nella sala; e naturalmente anche il pianista Luís Duarte, nei suoi occasionali interventi, si fa onore. Ciascuno a suo modo, ogni tassello del mosaico profuma davvero d'estate (quella dei tempi di Mendelssohn o Britten, non della devastazione climatica odierna): fino al brano popolare scozzese conclusivo, che stempera in un sorriso questa cavalcata attraverso la saudade estiva.

Paolo Patrizi

1/10/2024
Le foto del servizio sono rispettivamente: la prima tratta da un video di Ricardo Sacramento/Casa da Música, la seconda è una foto di Igor Martins/ Casa da Música.