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Intervista al baritono Renato Bruson

vincitore del Premio Bellini d'Oro 2018

La sua lunga e brillante carriera lo ha visto calcare i palcoscenici di tutto il mondo, fra i molteplici ruoli belliniani, donizettiani e verdiani, vissuti con tutto se stesso, immergendosi nei libretti per rivisitarne l'humus storico e psicologico. Lui, Renato Bruson, baritono di successo, classe 1936, nato a Granze, in provincia di Padova, ama la fedeltà interpretativa al testo originale, in ossequio al dettato compositivo dell'autore. Nel 2013, in occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, all'età di 77 anni, l'artista è uscito dalle scene rappresentando, come regista e cantante il Falstaff al Teatro Verdi di Busseto, insieme agli allievi dell'Accademia lirica della Scala. Lo abbiamo interpellato prima e dopo il Premio “Bellini d'oro”, ripercorrendo il suo itinerario artistico.

Maestro Bruson, dal momento del suo esordio, nel 1957, Lei ha intrapreso la carriera lirica da solista dopo aver cantato ruoli da comprimario. Quali chances hanno segnato questo passaggio?

“Ho esordito in carriera vincendo il concorso internazionale di canto per giovani cantanti lirici di Spoleto nel 1961, col ruolo del Conte di Luna dell'opera Il Trovatore di Verdi.
Questa vittoria mi ha dato la possibilità di un corso di perfezionamento presso il Teatro dell'Opera di Roma, oltre al fatto di cantare accanto ad artisti di chiara fama quali Virginia Zeani, Nicola Rossi Lemeni, Gianni Raimondi e l'opera belliniana I Puritani nel ruolo di Riccardo. Questo mi ha fatto capire l'individualità dei ruoli nelle loro specificità, bagaglio che ho messo in campo nella mia attività da solista.”

In qualità di docente fondatore dell'Accademia “Renato Bruson”, di Alto perfezionamento in canto lirico, quale aspetto ha ritenuto prioritario nel porgere il melodramma?

“Durante lo svolgersi delle lezioni all'Accademia di canto che porta il mio nome, ho sempre cercato sino a tutt'oggi di trasmettere ai miei allievi il rispetto assoluto per il dettato musicale e la massima cura verso le didascalie indicate nello spartito dallo stesso compositore; solo cosi il "canto" può assurgere ad autentica interpretazione vocale!

A tale proposito, avendo Lei setacciato tutto il repertorio di Verdi, e ad ampio raggio quello di Donizetti e Bellini, si è mai rispecchiato in qualche personaggio, in particolare?

“No, in effetti non mi sono mai identificato in nessun personaggio, perché ho sempre mantenuto una linea di distacco dal mio lavoro, non intaccando mai la mia sfera di vita personale”.

Come interprete verdiano per eccellenza, quale aspetto secondo Lei dovrebbe sempre emergere dalle partiture originali del Maestro di Busseto?

“Le classificazioni di verdiano, belliniano, donizettiano sono prive di senso. Nello spazio del palcoscenico si raggiunge l'apice interpretativo se la perfezione della nota emessa si fonde nel crogiolo dell'interpretazione, ovvero se si riesce a penetrare il personaggio, rispettando innanzitutto le intenzioni del musicista. Ed è quello che io ho sempre fatto”.

Immagino dunque che lei non sia del tutto favorevole agli allestimenti innovativi.

“Infatti non lo sono per nulla, perché distolgono lo spettatore dal messaggio autentico dell'autore e lo privano di quella dimensione ricreativa connessa allo spettacolo del melodramma. Non capisco perché bisogna scervellarsi a capire che cosa vogliano esprimere certi registi, che si allontanano così tanto dall'originale!

Nel suo vasto percorso interpretativo, quale ruolo l'ha coinvolta maggiormente decretando il suo successo?

L'opera che mi ha impegnato di più interpretativamente e vocalmente è il Macbeth di Giuseppe Verdi, per la teatralità e lo spessore drammatico del ruolo nel quale mi sono compenetrato.

Che significato assume per Lei il Premio “Bellini d'oro” che ha appena ricevuto dalla Società Catanese Amici della Musica in collaborazione col Teatro Massimo Bellini?

“È una bella gratificazione per la mia carriera, mi sento orgoglioso e felice per averlo ricevuto! Mi auguro che a Catania possa nascere prima o poi una scuola di canto belliniano per diffondere la grandezza vocale di Bellini e onorarne la memoria”.

Anna Rita Fontana

11/11/2018

La foto del servizio è di Giacomo Orlando.