Intervista a Irina Lungu
Norma per l'inaugurazione della stagione lirica 2025 del Bellini di Catania
Abbiamo intervistato Irina Lungu, soprano russo che sarà protagonista a Catania di una delle opere più amate dal pubblico di tutto il mondo: Norma.
Signora Lungu, cominciamo col parlare un po' della sua scoperta della musica e del canto in particolare: come è nato il suo interesse per la lirica? Un caso, oppure? I suoi genitori hanno appoggiato le sue scelte artistiche? Qual è il suo rapporto con l'Italia?
Il mio amore per il canto lirico è iniziato già in età adulta, anche se prima sin da quando ero piccola avevo studiato il pianoforte, poi la direzione e infine il canto. Quando avevo 18 anni ho incontrato un maestro di canto lirico con il quale ho sentito subito una profonda connessione, ed è stato proprio lui a farmi conoscere attraverso i miei primi ascolti le cantanti, le opere, la tradizione, il belcanto. Parlo dei dischi di Renata Scotto e della Caballé. In particolare l'aria che mi colpì maggiormente fu “Ah, non credea mirarti” da La sonnambula cantata da Renata Scotto con questa purissima linea belcantistica; anche se non capivo ancora il testo, questa musica mi ha colpito nel profondo del cuore e mi ha ispirata per tutta la mia carriera.
Riguardo ai miei genitori, devo premettere che ho studiato sempre in un'altra città, lontana da casa, e quindi i miei genitori non hanno potuto influire molto sulle mie scelte; non mi hanno ostacolata, sono sempre stata molto libera nelle mie decisioni, e qualche volta sono stata anche sola. Credo però che in fin dei conti questo sia stato un bene, perché é mi sono sentita libera di sperimentare qualsiasi cosa mi sentissi. Quindi con il mio maestro abbiamo esplorato per cinque anni il mondo dello studio del canto lirico, perché é mi sono diplomata al conservatorio con lui, dopodiché sono venuta in Italia attraverso un'audizione vincendo nel frattempo moltissimi concorsi internazionali piuttosto importanti. Alla fine sono stata invitata a prendere parte al concorso per l'Accademia alla Scala cui era presente il maestro Muti che, insieme a Leyla Gencer, selezionava giovani cantanti per l'Accademia del Teatro alla Scala. Sono stata scelta e così mi sono dovuta trasferire a Milano. Era l'anno 2003 e da allora sono molto legata all'Italia, la amo profondamente e ormai mi considero una milanese.
Quando Lei prepara un ruolo nuovo, sia o no in fretta, come fa? Cosa viene per primo o è più importante per Lei?
A proposito della preparazione di un nuovo ruolo, per me è fondamentale sentire l'ispirazione. Io devo essere assolutamente ispirata verso questo ruolo nuovo. Per me il processo di preparazione di un ruolo nuovo è totalizzante e richiede un 'immersione totale. Cerco le fonti letterarie, i film nel caso esistano, oppure studio il contesto storico in cui si muove il personaggio per cercare di capire la levatura di questa figura e il suo significato profondo inseriti nel suo momento storico. In seguito lo studio nel dettaglio, cercando di fare attenzione anche ai minimi particolari. Inizio quindi dal quadro generale per arrivare alle raffinatezze e sottigliezze nel dettaglio; indubbiamente una fase molto importante della mia preparazione sono gli ascolti. Mi piace molto farmi ispirare da altre cantanti, dalle mie grandissime colleghe del passato e non solo; la fase finale è quella di memorizzare lo spartito con un pianista o con un coach vocale cercando di risolvere le varie difficoltà della parte riguardanti le posizioni, la gestione del fiato, il fraseggio, le eventuali cadenze e variazioni più adatte alla mia vocalità. Adoro tutto questo processo della preparazione di un ruolo, fondamentale per arrivare alla produzione dello spettacolo. Il primo giorno di prove devo sentirmi completamente preparata musicalmente e vocalmente, anche perché é poi, quando iniziamo una produzione in teatro, c'è da pensare ad altre cose, per cui tutti i problemi vocali e musicali devono essere risolti prima dell'inizio delle prove.
Le è mai capitato che qualcuno, direttore d ' orchestra o regista, le abbia chiesto delle cose che per lei non vanno con il personaggio, con la musica o che lei ritiene di non poter fare... Se sì, come ha reagito? E come reagirebbe in futuro? E più in generale, come imposta volta per volta il suo rapporto col direttore d ' orchestra e col regista?
Dopo esserci preparati da soli a casa o in una stanza con un coach, con un pianista, arriviamo al primo giorno di una produzione teatrale disposti ad imparare a dialogare con il regista, il direttore d'orchestra e gli altri colleghi per trovare il proprio spazio nel contesto di questa produzione, avendo un medesimo scopo, l'esito felice di tale allestimento. Io sono una persona molto curiosa, non credo mai che il mio modo di vedere le cose sia l'unico giusto, anzi sono molto flessibile, accetto molto volentieri altri punti di vista che secondo me mi arricchiscono e mi aiutano a comprendere il mio personaggio, per cui sono ben disponibile ad accettare le varie richieste. Ovviamente è capitato anche a me che non mi piacesse qualcosa, ma prima di contestarla cerco di capire a fondo la richiesta, da dove viene, per quale motivo ti viene chiesta. Per quanto io possa avere le mie idee sulla produzione, il lavoro di regista è tutt'altro, anche se non posso lasciare le mie idee totalmente fuori dal contesto di questa precisa produzione.
Il mio lavoro è quello di contestualizzarmi dentro questa produzione, che è una visione scenica del regista e una visione musicale del direttore. Talora è una specie di compromesso, mentre altre volte è una specie di unisono perché é capita subito che la vediamo sotto lo stesso punto di vista. A volte mi trovo di fronte ad una situazione un po' conflittuale, anche se grossi problemi non li ho mai avuti. In ogni caso devo trovare una giustificazione per ogni richiesta, deve esserci la verità scenica, e se c'è questa non mi importa che la produzione sia moderna o classica: io devo avere una mia verità dentro, e cerco di lavorare con i registi proprio per raggiungerla.
Quali sono i registi e i direttori d ' orchestra con i quali ha lavorato meglio? E perché? Preferisce le regie più tradizionali o quelle più innovative?
Mi piace molto lavorare con i direttori che riescono a creare una connessione tra il palcoscenico e la buca dell'orchestra, che non è sempre così scontato. Sicuramente ho avuto il privilegio di lavorare con grandissimi direttori come Daniele Gatti, Riccardo Muti, e vorrei anche menzionare Renato Palumbo, direttori con moltissima esperienza; ad ogni prova musicale hanno da dire qualcosa e pertanto ogni prova si rivela un insegnamento. In queste occasioni prende vita in me un'allieva modello, che cerca di assorbire quanto più possibile. Sono sempre felicissima quando mi capitano queste occasioni con maestri di tale caratura.
Parlando invece dei registi, vorrei fare il nome di Franco Zeffirelli, con il quale ho avuto occasione di lavorare personalmente in varie produzioni, poi sicuramente Pier Luigi Pizzi, Mario Martone, con cui ho lavorato per la prima volta ormai quasi 20 anni fa. Non posso non nominare un grandissimo regista come Robert Carsen, grazie al quale la percezione stessa del mio mestiere ha preso una svolta; Carsen mi ha aperto gli occhi su tantissime cose, mi ha fatto capire che cosa sia veramente il mio modo di essere in scena, e quali sono i miei punti forti come attrice. Abbiamo collaborato in un paio di occasioni e soprattutto una nuova produzione di Rigoletto anni fa in cui mi ha insegnato il ruolo di Gilda, che mi ha portato poi in tantissimi teatri con grande successo e che ho cantato fino all'anno scorso.
Io personalmente non divido le regie in tradizionali e innovative. Per me quello che conta è la capacità di un allestimento scenico di raccontare una storia, di creare le connessioni tra i personaggi; pur togliendo l'opera dal contesto storico originale, un regista deve comunque essere in grado di mantenere la complessità delle relazioni tra i personaggi, cosa che non è sempre possibile. Preferisco dividere le regie tra banali e talentuose: una regia tradizionale può essere noiosissima come anche una regia innovativa può rivelarsi ricca di spunti. L'importante è che non deve mai semplificare, deve mantenere la complessità e la suggestione della storia originale: questo è per me quello che conta.
Signora Lungu, in quale personaggio del melodramma lei si sente perfettamente a suo agio sia vocalmente che scenicamente?
Parlando dei miei personaggi, non posso certo non nominare Violetta, che mi accompagna ormai da moltissimi anni e che ancora riesce ad emozionarmi. È un personaggio con il quale vivo una così perfetta sintonia che quasi non mi deve spiegare nulla. Ha una verità che la accompagna sempre in ogni nota, ogni battuta, e lo sento tantissimo. Ci sono poi altri personaggi di Donizetti che ho amato tantissimo; io mi considero un'interprete di eroine romantiche, come potrebbe essere Lucia di Lammermoor. Fra le regine donizettiano invece mi sento più vicina a Anna Bolena. Nel repertorio francese dico Manon, sicuramente il personaggio forse più interessante, stimolante e diverso che abbia mai interpretato; peccato che sia capitato solo una volta. Sento dentro di me questo un personaggio in tutti i cinque atti, anche se sono in particolare la Manon del secondo atto. Spero vivamente che anche Norma abbia spazio fra questi personaggi preferiti.
Quando studia un nuovo ruolo, ha talvolta un'interprete di riferimento specifico o mira sempre a ricreare ex novo il personaggio in base alla sua sensibilità artistica? Quali sono le cantanti del passato che lei apprezza di più? E per quali motivi?
Ho dei miei modelli cui mi ispiro, e come dicevo già prima, gli ascolti per me sono una parte fondamentale della preparazione. In testa c'è Renata Scotto; come prima cosa cerco sempre se abbia fatto questo ruolo, e come l'abbia risolto. Amo molto Montserrat Caballé, Beverly Sills, Joan Sutherland. Mi piace anche ascoltare i cantanti pre-Callas, perché a volte senti delle cose molto interessanti anche se il nostro gusto cambia sempre con il passar del tempo: proprio dalle registrazioni è possibile notare come cambia il gusto e il modo di eseguire. Per esempio, ho ascoltato moltissimi soprani degli anni '20 per preparare Norma, trovando anche variazioni molto belle. Per concludere ascolto tantissimi soprani, ma i miei modelli rimangono Renata Scotto, Montserrat Caballé, Beverly Sills, Joan Sutherland e Leyla Gencer.
Lei debutterà a Catania nel ruolo di Norma: che taglio intende dare al personaggio della sacerdotessa druidica? Quale approccio privilegerà? Come si inquadra a suo parere l'opera nel complesso della produzione e dell'evoluzione stilistica belliniane?
Parliamo finalmente di Norma. Devo dire che non sono arrivata facilmente a questo debutto, preceduto da una lunga meditazione. Un paio di stagioni fa ho debuttato nel ruolo di Imogene ne Il pirata, riscuotendo un grandissimo successo. Non dico che Il pirata sia molto simile a Norma, ma è quello stile, quelle atmosfere mi hanno un po' fatto pensare a lei. Imogene è un'eroina molto diversa da Norma, è un'eroina completamente romantica, mentre Norma lo è solo in parte. Norma è un ruolo totalizzante, è un ruolo che ha tutto, che potrebbe rappresentare il culmine della carriera di ogni soprano perché per cantare Norma devi avere tutto: oltre alla vocalità giusta e un'ampissima estensione, devi avere la capacità di esprimere le profonde emozioni con tantissimi colori, devi avere la padronanza perfetta dello stile belcantistico e una forte capacità attoriale. Posso affermare che Norma per una cantante è un ruolo veramente stratificato e totalizzante che esige una grandissima preparazione e una grandissima maturità vocale e scenica. Norma è un ruolo per le cantanti con vasta esperienza alle spalle, e adesso con la mia ultraventennale esperienza credo di poterla affrontare. Non nascondo che sono molto emozionata perché Norma è un ruolo tanto sublime quanto difficile. Il mio obiettivo e raggiungere il perfetto equilibrio fra la purezza dello stile belliniano e la complessità emotiva di questa eroina.
Per me la parola chiave per Norma è donna. Donna in tutte le sue ipostasi, madre, amante, donna sacra di potere, guidatrice del popolo. È anche la storia di una sorellanza, quella con Adalgisa. Tutte le ipostasi di una donna sono quindi presenti in Norma, e la mia interpretazione punta a esporre le sue fragilità e la sua scissione fra potere e amore. È dilaniata dai conflitti, da dilemmi, e attraverso la morte trova una liberazione, una trasfigurazione. La mia interpretazione cerca di esplorare questi contrasti senza rinunciare alla linea belcantistica. Personalmente comunque mi sento una Norma caratterizzata più dalle fragilità che dalla forza, più dal contrasto che dalla sicurezza.
Norma è un'opera stilisticamente unica che ha anticipato secoli della storia della musica, che ha ispirato moltissimo i compositori, Wagner per esempio, che la adorava, la studiava sempre, avendola anche diretta: nel secondo atto troviamo persino un prototipo dell'accordo di Tristano. Norma è un'opera in questo senso veramente unica; la protagonista è quasi una figura mitologica che poi si fa romantica e umana nel momento in cui non riesce a uccidere i suoi figli. La mia interpretazione punta anche a sottolineare questo suo lato umano, perché in fondo ogni donna vive questi dilemmi morali e affettivi. Sento già che la sto amando tantissimo e spero di portare tutte queste sfaccettature in scena.
Cosa prevede in quanto a sviluppo della sua carriera? Stili, autori, epoche, scuole…
Per quanto riguarda la mia carriera Norma è sicuramente una tappa importante, un debutto che ho cercato a lungo, che mi potrebbe aprire nuove direzioni; ho iniziato la mia carriera come soprano lirico leggero, e dopo Norma però mi piacerebbe esplorare ulteriormente il repertorio belcantistico serio, come ad esempio la trilogia Tudor donizettiana, a cui manca ancora per il momento Roberto Devereux; amerei affrontare Lucrezia Borgia, nonché altre opere di quel meraviglioso compositore che è Vincenzo Bellini. Piano piano vorrei avvicinarmi ad alcune opere di Verdi, come per esempio Otello o Il trovatore. Confesso che il mio sogno nel cassetto è Adriana Lecovreur che non mi sento ancora del tutto pronta a mettere in repertorio, ma che credo potrebbe esser in futuro un buon ruolo per me. Poi ci sono anche altri repertori non italiani che vorrei continuare a esplorare come quello francese, Thaïs fra tutte. Mi piace considerarmi una cantante versatile; è chiaro che debba abbandonare, a questo punto della mia carriera, ruoli come Gilda e Lucia, ruoli più giovanili di tradizione, e spostarmi verso il belcanto “serio”. Amo moltissimo la musica contemporanea e del ventesimo secolo, mi piace molto il teatro di Janacek e di Strauss: mi piacerebbe poter cantare Salome un giorno. Non dimentichiamo Mozart, che io continuo a cantare, perché credo che sia molto sano per una cantante, e approfitto di ogni occasione per poterlo eseguire.
Giuliana Cutore
14/1/2025
La foto del servizio è di Elena Sikorskaya.