RECENSIONI
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Barcellona

Turandot Tecnologica

Il Liceu apriva la stagione con la stessa opera che vent'anni fa venne scelta per riaprire le porte dopo il terribile incendio del 1994.

Tante autorità, personalità e perfino pubblico. Una serata preceduta da un breve video sulla ricostruzione del Teatro. Una Turandot futurista di aspetto, molto tecnologica, con proiezioni, sipari, robot, gru che aprono e chiudono spazi (imperatore, uscita della principessa) ma dove si sventolano bandiere come negli spettacoli antidiluviani e i vestiti (in particolare il mandarino e Liù) fanno pensare al teatro di riviste falsamente sfarzoso. Le tre maschere, che almeno qui non hanno cambiato nome come a Toronto per evitare ipotetici insulti, si muovono a piccoli passi e salti e da tempo non le vedevo così povere d'idee e quasi svogliate. Siccome pare che si debba riscattare Puccini dalle idee del suo tempo (ma se lo erano perchè negarle senza che questo significhi condividerle?) alla fine Turandot scopre l'amore attraverso il sacrificio di Liù e abbraccia, bacia e accarezza la salma mentre Calaf – respinto dal padre dopo la morte della schiava – che ha abbracciato la corona della principessa ma non lei guarda frastornato. Amen. Prima esperienza nella direzione scenica di Franc Aleu (autore delle scene insieme a Carles Bergasa) con l'aiuto di Susana Gómez e una lunghissima serie di collaboratori, quasi una colonna – la prima – della distribuzione.

L'orchestra e il suo titolare Josep Pons si facevano onore ed erano il punto più alto della serata. Il coro preparato dalla solita Conxita García, molto efficace, sembrava un po' scarso in alcuni momenti. Bene il coro infantile Vivaldi istruito da Òscar Boada.

Per il primo cast c'era in primis Iréne Theorin, una delle specialiste di Turandot, qui parecchio a suo agio anche se con un centro e grave piuttosto appannati e con meno volume del solito. Jorge de León ha un fiume di voce, scura e omogenea, ma assolutamente monolitica l'interpretazione; in fine di serata sembrava alquanto stanco e la voce ballava in certe frasi. Ermonela Jaho è una beniamina di moltissimi pubblici, particolarmente in Puccini, ma francamente non capisco perchè. Voce mediana, di bruttissimi gravi e acuti striduli, solo ha dalla sua dei bei piani – alquanto brevi nell'atto primo, molto migliori nel terzo. Dicono anche che sia un'intensa attrice; qui non si è visto, ma sicuramente sono io che non capisco le sue virtù.

Alexander Vinogradov era un po' sotto il suo livello abituale, ma migliorava nell'ultimo atto. Le maschere bene, soprattutto Francisco Vas (Pang) e Mikeldi Atxalandabaso (Pong). Toni Marsol (Ping) ha buona voce ma senza squillo e spinge troppo in acuto. Discreto José Luis Casanova (il principe di Persia) e un po' meno il Mandarino di Michael Borth. Una parola ancora per Chris Merritt, adesso nei panni dell'imperatore Altoum ma che sa ancora distinguersi. Applausi per tutti, in particolare il terzetto protagonista e il maestro Pons.

Jorge Binaghi

11/10/2019

La foto del servizio è di Antonio Bofill.