Parigi
“Solo” Tosca
Tosca ritornava nel nuovo allestimento per la regia di Pierre Audi che non ha molte novità e sarebbe più o meno apprezzabile non fossero le terribili scene di Christof Hetzer – da urlo il terzo atto con tenda di campagna anzichè carcere e castel sant'Angelo, ma anche il primo non era per niente interessante – malgrado i costumi, eccellenti, di Robby Duiveman. Il coro nei suoi interventi puntuali, preparato come al solito da José Luis Basso, era molto bravo. L'orchestra si adeguava alla bacchetta poco interessante di Dan Ettinger, di tempi erratici e per momenti un fracasso assordante che, per esempio, impediva di sentire le frasi della protagonista dopo l'uccisione di Cavaradossi eccetto l'ultima (menomale). Molto atteso nel ruolo del pittore, Jonas Kaufmann mancava all'appello di maggio: dicono che rientrerà a giugno per una o due recite, ma chi ci crede, anche se questa volta sembra che ci siano davvero motivi seri per l'ormai più che solita cancellazione. Ce ne saranno o ci sono stati altri chiamati all'ultimo momento, così come un altro Scarpia e – dicono – due protagoniste.
In questa recita c'era Marcelo Puente, bella figura, canto generico, voce brunita – troppo – incapace di piegarsi a mezzevoci o al canto a fior di labbra, piazzata troppo indietro e quindi con un settore acuto teso e di minor volume rispetto agli altri registri Scarpia era stato l'ultima volta Tézier, che debuttava il ruolo ed era il più interessante dei tre. Purtroppo non è il caso di Zeljko Lucic, voce importante ma monotona e che se già non riesce a convincere in Verdi figuriamoci in Puccini. Per di più il timbro era parecchio appannato. Tra i comprimari deludeva Rodolphe Briand nei panni di Spoletta, ma anche Christian Rodrigue Moungoungou, voce di basso importante ma emessa con tecnica discutibile e con un italiano di quelli per la sopravvivenza turistica. Peggio ancora l'insufficiente Angelotti di Krzystof Baczyk e solo discreto Igor Gnidil (Sciarrone). Bravo il pastorello (non figurava nella distribuzione) e come al solito molto competente –un punto chiaro – Nicolas Cavallier in un buon Sagrestano.
Tutto ciò vale a dire che la recita meritava solo per la protagonista della grande Anja Harteros, in stato vocale glorioso (l'ovazione interminabile dopo ‘Vissi d'arte' era meritata) ma anche come interprete. È vero che trattandosi di cantante raffinata offriva una diva più giovanile (primo atto e ultimo) e intimistica e che, per esempio, frasi come ‘Giuro!' al primo atto o alcuni degli scambi violenti con Scarpia mancavano di una certa forza, ma l'interprete era molto attendibile: memorabili, per esempio ‘lo dici male' o il modo di ‘recitar cantando' la frase finale del secondo atto. La temibile ‘lama' era perfetta e lo stesso si dica di altri momenti difficili nel secondo atto e della frase finale.
Jorge Binaghi
31/5/2019
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