Un dipinto per Tosca
Una Tosca di Puccini come quella che ci è stato dato modo di vedere sulla tavole del palcoscenico del teatro Carlo Felice di Genova, il pomeriggio del 5 maggio 2019, parla al cuore. Parla al cuore e alla mente. E a entrambi dice della puntualità del regista, della bellezza delle voci. Della sobrietà elegante delle scenografie e delle luci. Della eccelsa qualità dei solisti in orchestra. Della robusta mano del maestro concertatore. L'ottimo coro conclude questa panoplia di squisitezze che ci ha offerto il massimo teatro genovese. Una regia puntuale, rispettosa della musica e del libretto, che ha delineato il contesto preciso in cui si svolge la storia rendendo plastici ed evidentissimi i riferimenti drammaturgici, storici e narrativi di cui Tosca fa dovizia.
E tale plasticità è stata sottolineata ancor più dalla possanza e nello stesso tempo eleganza della voce del tenore Diego Torre d'un fraseggio impeccabile, con voce d'una consistenza calda e virile, pathos bruciante, fraseggio nervoso e penetrante, timbro e squillo possenti. Un esempio per tutti: interpretare “E lucevan le stelle”, trasformando una pagina famosissima ormai logora dall'uso in uno splendido esempio di nobiltà ed intensità interpretativa. Il bis concesso non ha fatto altro che confermare quanto appena detto. Applausi e ovazioni meritatissime.
Cosa dire del soprano Maria Josè Siri? Che ha reso una Tosca di memorabile levatura con la sua espressione vocale densa di velluto, colorata d'ambra. La stessa distanza tra un registro acuto sfolgorante e un registro grave cupo e velato, suggeriscono una capacità di attrazione e di dannazione notevolissime (che poi è il centro motore dell'intera opera). Da manuale la sua “Vissi d'arte” con applausi scroscianti e ovazioni.
Ora veniamo allo Scarpia di Alberto Gazale il quale, certo seguendo l'ottima regia di Andrea Cigni, ripulisce il personaggio da tutte quelle sovrastrutture che la tradizione interpretativa gli aveva addossato, realizzando un barone sadico, laido ma perfettamente mimetizzato dietro l'eleganza del diplomatico o meglio, del politico. Voce pastosa e calibrata riconducibile a un bronzo con patina chiara e seducente. Notevole nel «Te Deum». E nel duetto con Tosca del secondo atto. In questo vi è una perla registica (e luministica) di notevole interesse. Quando Tosca uccide Scarpia, il gesto imperioso della donna, col braccio alzato, e Scarpia ai suoi piedi rantolante, riporta subito alla mente uno dei tanti dipinti relativi a Giuditta e Oloferne: un tableau-vivant di bellissimo e drammatico effetto. Un dipinto in carne e ossa per questa Tosca d'eccezione!
L'intera scena del terzo atto è sublime. D'una semplicità e di una bellezza travolgenti, recupera quella che era la vita nella città di Roma nell'Ottocento, quasi un centro rurale, attraversato da greggi di pecore guidati da pastori in ciocie («Io de' sospiri / te ne rimanno tanti»). Castel Sant'Angelo, nel quale si svolge il terzo atto, era l'estrema periferia. Questo monumento della Roma imperiale incombe, nei primi incerti colori dell'alba, su una piana solitaria, corrispondente all'attuale quartiere Prati (anticamente chiamato Prati di Castello). Tutto questo ha suggerito la scenografia con un cielo nuvoloso sempre in movimento a richiamare e confermare le «nuvole leggere» del duetto Tosca- Cavaradossi.
L'orchestra, diretta da Valerio Galli, è riuscita a fluire rafforzando gli eventi drammatici, alzando con regolarità la temperatura espressiva e rafforzando gli eventi drammatici, rispondendo egregiamente, ai flussi e riflussi del dramma, nella eccellente certezza delle prime parti. Bravi i coristi e le voci bianche diretti rispettivamente da Francesco Aliberti e Gino Tanasini. Bravi, veramente bravi, tutti gli altri.
Francesco Cento
9/5/2019
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