Una farfalla dalle ali spezzate
Madama Butterfly al Bellini di Catania

Terzo titolo in programma della stagione lirica 2025 del Bellini di Catania, Madama Butterfly è, insieme a La Bohème, Tosca e Turandot, senza dubbio uno dei titoli più amati dai melomani di tutto il mondo, e prova ne è stata per la nostra città il teatro gremito di pubblico alla prima del 12 aprile, e pare anche per le repliche che si protrarranno sino al 19, almeno a leggere il vistoso sold out per tutti i turni che campeggiava all'ingresso del botteghino.
L'allestimento, a cura del Bellini di Catania, riprendeva praticamente tout court quello del maggio del 2019, per la regia del versatile Lino Privitera, coadiuvato dalle scene e dai costumi, questi ultimi molto eleganti e raffinati, di Alfredo Corno, dai video di Daniel Reina e dalle luci di Andrea Iozzia: un impianto scenico che, come avevamo avuto già modo di notare, si caratterizza per un'estrema stilizzazione, per la predominanza dei caldi toni del giallo e dell'ocra, per la fedele ricostruzione di una tipica casa giapponese e per alcuni particolari di grande impatto visivo, quali la sagoma del salice (o lillà) che campeggia nel secondo e nel terzo atto, e per la ridotta attrezzeria, un misto di nipponico e occidentale, quasi a sottolineare l'impossibile sogno di integrazione di Cio-Cio-San, che permetteva grande libertà di movimenti scenici ai cantanti. Una messa in scena insomma di buon impatto visivo, che ha avuto il principale merito di non distrarre con inutili orpelli e macchinose invenzioni lo spettatore dalla musica e dal canto, eccezion fatta per i sei danzatori abbigliati di nero, che si muovevano su enormi zeppe, i quali sono intervenuti più volte nel corso della recita, simboleggiando gli spiriti degli antenati, ma che, specie durante l'esecuzione del celeberrimo coro a bocca chiusa, hanno costituito con le loro movenze ampie e pervasive un elemento disturbante alla fruizione della delicata e struggente melodia, mentre invece, almeno a parere di scrive, sarebbe stato molto meglio che gli sguardi del pubblico si focalizzassero su Butterfly immobile di spalle ad attendere con tipica rassegnazione orientale il ritorno di Pinkerton.
Sul versante musicale il coro, istruito come sempre da Luigi Petrozziello, ha fornito un'egregia prova, senza mai debordare in sonorità eccessive, evidenziando anzi una notevole morbidezza fonica e un'attenta cura dei legati nella tenue e soffusa melodia del coro a bocca chiusa. L'orchestra, diretta da Alessandro D'Agostini, si è distinta per la precisione negli attacchi e per il nitore del suono, anche se le notevoli sonorità impresse dal direttore, pur se adeguate per le parti puramente strumentali, si sono rivelate alquanto eccessive quando si trattava di accompagnare e far risaltare i cantanti, più e più volte messi a dura prova da un'orchestra che li copriva a tratti, richiedendo di fatto uno sforzo fonico che andava a tutto scapito della fluidità e dell'espressività del canto. In particolare, proprio un'eccessiva intrusione orchestrale non ha permesso al celebre coro del secondo atto di spiccare in tutta la sua tenuità nostalgica e dolorosa, nonostante la professionalità dei cantanti. Sembrava insomma che il direttore non avesse un'idea precisa del delicato lavoro di integrazione buca-palcoscenico richiesto da questa non facile opera che, se non scevra dalle roboanti sonorità che saranno poi appannaggio di Turandot, necessita di un cesello sonoro più vicino a quello de La Bohème o della dolorosa e raffinatissima Suor Angelica.

Soddisfacente anche la resa del cast vocale, a partire dall'ottima Suzuki di Laura Verrecchia, mezzosoprano dalla voce calda e pastosa, dotata di una stupenda e imponente zona media, che si è distinta anche per naturalezza scenica, evidenziando tutto l'accorato affetto dell'anziana servente per la giovane padrona; la Verrecchia è una cantante che potrebbe senza dubbio ambire anche a ruoli più impegnativi e di primo piano, che permetterebbero al suo potenziale espressivo di emergere come merita. Disinvolto scenicamente anche il Goro di Saverio Pugliese, tenore non nuovo ai ruoli di fianco del repertorio pucciniano orientale, a metà tra il comico e l'intrigante, cui la sua voce presta sempre una particolare freschezza, complice innanzitutto una chiara e ben scandita dizione.
Il console Sharpless, complice involontario del malaccorto Pinkerton, era affidato a Luca Galli, baritono dalla voce bronzea e pastosa, dal fraseggio accurato ed elegante, che è riuscito a far emergere tutta la dolente e compassionevole partecipazione alla sciagura della giovane Butterfly, soprattutto nel secondo atto, dove un'ottima arte attoriale si è felicemente unita a una musicalità e ad una morbidezza di emissione che hanno reso tutta la scena con Butterfly uno dei momenti più alti e coinvolgenti di tutta la rappresentazione. Di ottimo livello la prova del tenore Leonardo Caimi, un Pinkerton alquanto fatuo e baldanzoso nel primo atto ma consapevole del danno irreparabile che la sua leggerezza ha causato nel terzo: dotato di una solida zona media, sempre coperto negli acuti e mai incline a forzature e anticipazioni quanto mai sgradevoli nei tenori, ha spiccato agevolmente sia per facilità di emissione che per morbidezza di suono nel duetto con Butterfly del primo atto, e in generale quasi sempre, riuscendo ad aver ragione con facilità delle intemperanze direttoriali cui accennavamo prima, trovando il culmine della sua interpretazione in “Addio, fiorito asil”, cantato con un afflato lirico e con una padronanza di mezzi espressivi ormai rari nei tenori moderni.

Monica Zanettin, chiamata all'ultimo momento a sostituire l'indisposta Valeria Sepe nel ruolo di Butterfly, ha certamente scontato nella sua performance una mancanza di prove che le avrebbero certo permesso di interagire con più disinvoltura con gli altri cantanti, ma soprattutto di risolvere adeguatamente il rapporto buca palcoscenico: soprano dal timbro dolce ed espressivo, grazie alla sua accattivante presenza scenica è riuscita sin dal primo istante a focalizzare su di sé l'attenzione del pubblico, riuscendo a tratti a trovare accenti adeguati nel duetto d'amore del primo atto, per poi crescere notevolmente nel secondo, nonostante un'esecuzione non proprio perfetta e partecipata di quell'altro momento attesissimo che è “Un bel di vedremo”, cui comunque il pubblico ha tributato applausi di cortesia, per poi trovare appieno la quadra del personaggio nel terzo atto, dove “Tu, tu, piccolo Iddio”, in cui la zona media del soprano e il suo temperamento drammatico sono finalmente emersi, ha strappato entusiastici consensi che si sono riverberati nei prolungati e calorosi applausi che le sono stati tributati alla fine, certo anche riconoscenti per una professionalità che le ha permesso di subentrare subitaneamente alla prima.
Completavano il cast Paola Francesca Natala (Kate Pinkerton), Roberto Accurso (Il principe Yamadori e il commissario imperiale), Gianfranco Montresor (lo zio bonzo) e Filippo Micale (l'ufficiale del registro).
Giuliana Cutore
12/4/2025
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.