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Puccini e la poetica della piccole cose

al Museo Diocesano di Catania

Da sinistra: Aldo Mattina, Ivan Manzella, Carmen Maggiore, Gonca Dogan e Filippo Micale.

Domenica 14 ottobre, secondo appuntamento della rassegna Chant d'Automne, organizzata dalla Camerata Polifonica Siciliana, sotto la direzione artistica di Giovanni Ferrauto, presso il Museo Diocesano di Catania, ha avuto luogo un suggestivo concerto lirico, dal titolo Giacomo Puccini e la poetica delle piccole cose, con la partecipazione dei soprani Gonca Dogan e Carmen Maggiore e del tenore Filippo Micale, accompagnati al pianoforte dal maestro Ivan Manzella.

La serata, introdotta e commentata da Aldo Mattina, presidente della Camerata Polifonica Siciliana, prevedeva un excursus vocale lungo tutta la produzione di Puccini, da Le Villi sino a Turandot, con l'intento, ben messo in rilievo dal critico, di evidenziare l'attenzione del compositore lucchese per figure femminili lontane dalle eroine classiche del melodramma, regine, sacerdotesse, grandi dame, in favore di una quotidianità borghese e più moderna, incentrata su quella poetica delle piccole cose che un decennio dopo, nel 1910, avrebbe fatto irruzione nella poesia italiana, complice una recensione su La Stampa di Filippo Antonio Borgese sulla poesia di Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves: una poesia appunto che, come le opere di Puccini, rifiutava, sia da un punto di vista tematico che linguistico, qualsiasi riferimento all'eroico e al sublime. Come non ha mancato di notare Mattina, questa poetica, di fatto risalente al Pascoli, ma in parte anche al D'Annunzio del Poema Paradisiaco, ha trovato in Puccini quasi una sorta di risonanza ante litteram grazie a protagoniste come Mimì, l'ingenua sartina di Bohème, ma anche nell'esotismo di Butterfly e nella triste preghiera di Liù, giovane schiava innamorata di Calaf, alla quale, molto più che a Turandot, non a caso andava tutta l'accorata simpatia di Puccini. Né lo studioso ha mancato di insistere con competenza sul ricorrere nei libretti degli aggettivi piccolo, piccino, dei diminutivi (come “O, mio babbino caro” dal Gianni Schicchi, anch'esso indice di una quotidianità affettivamente vissuta), guidando in tal modo il folto uditorio all'interno della reale modernità di Puccini, indagata non solo in un'ottica puramente musicale, ma soprattutto sociologica, evidenziando quindi come tale modernità si concretasse, oltre che in una ricerca e in una sperimentazione armonica e stilistica, anche e soprattutto nel tentativo di rispondere a un'esigenza reale, dettata dall'irrompere all'interno del tessuto storico, tra fine Ottocento e inizi Novecento, di nuove classi sociali, di una nuova visione della vita, assolutamente borghese e non più aristocratica, e soprattutto di una diversa concezione dell'amore, vissuto nel quotidiano e con diverse sfumature di sentimenti.

A questa colta e interessante introduzione, che Mattina ha poi ripreso e approfondito più volte nel corso della serata, ha fatto seguito il concerto vero e proprio, nel corso del quale Gonca Dogan e Carmen Maggiore si sono alternate sul podio con arie ben calibrate sulle loro diverse vocalità. Così, mentre il soprano turco ha eseguito “Sì, mi chiamano Mimì” da La Bohème, “Vissi d'arte”, da Tosca, “Un bel dì vedremo” da Madama Butterfly e “Signore ascolta” da Turandot, la Maggiore si è esibita nell'aria di Musetta “Quando m'en vo”, sempre da La Bohème, in “Se come voi piccina”, da Le Villi, in “Chi il bel sogno di Doretta”, da La Rondine e in “O mio babbino caro” dal Gianni Schicchi. A Filippo Micale sono stati invece affidati “E lucevan le stelle” da Tosca e “Nessun dorma” da Turandot. Il programma prevedeva infine due duetti: “Vogliatemi bene”, dall'atto I di Madama Butterfly, cantato dalla Dogan e da Micale, e “O soave fanciulla”, dall'atto I de La Bohème, dove il tenore si è esibito insieme alla Maggiore.

Come dicevamo prima, l'accurata scelta dei brani ha tenuto anche conto della diversa vocalità e del differente temperamento dei soprani: così dunque Carmen Maggiore, aggraziata e dalla timbratura più leggera, ha prestato la sua voce briosa e a tratti civettuola alla spumeggiante Musetta e alla frivola Magda, trovando però commoventi accenti nella dolce e accorata aria di Lauretta, la giovane figlia di Gianni Schicchi che implora la complicità del padre per realizzare il suo sogno d'amore. Cantante molto musicale, si è disimpegnata con professionalità, evidenziando un'eccellente dizione, un buon fraseggio e una notevole preparazione tecnica, che le hanno consentito di sfruttare al meglio una voce duttile, abbastanza estesa e dal timbro quanto mai gradevole.

Gonca Dogan ha confermato ancora una volta le sue doti di soprano lirico-drammatico, e una tessitura vocale che le consente di affrontare arie ben dissimili tra loro con disinvoltura e trovando per ciascuna eroina il giusto accento: dotata di un fraseggio eccellente, capace di cantare sempre sulla voce, trova il suo punto di forza in un notevole equilibrio tra zona alta, media e grave, il che si traduce in un centro pieno e caldo, in acuti luminosi e sempre assolutamente coperti, e in gravi immuni da sbiancature, cosa che, unita a suggestive mezze voci e a un'attenzione ormai rara a ogni minimo dettaglio della partitura, ne fa una cantante in grado di affascinare l'uditorio, che anche in questo caso le ha tributato entusiastici applausi.

Filippo Micale, dotato di una voce di notevole potenza, ha interpretato con commosso sentimento le due impervie arie a lui affidate, riuscendo a rendere partecipe il pubblico sia della profonda e dolorosa disperazione di Cavaradossi, sia del clima di magica ed estatica attesa che avvolge la notte di Calaf. Il tenore si è distinto anche nei duetti, dove la sua robusta vocalità ha saputo trovare commoventi e delicati accenti amorosi che il pubblico ha mostrato di gradire moltissimo.

Il maestro Ivan Manzella ha accompagnato i cantanti con garbo, professionalità ed estrema discrezione, senza mai sovrastarli ma rispettandone sempre i tempi, modulando l'esecuzione sulla vocalità e permettendo quindi loro di esprimersi al meglio.

Ai calorosissimi applausi del pubblico, i tre protagonisti della serata hanno risposto con un encore che avrebbe dovuto suonare di buon auspicio contro il maltempo che ha flagellato Catania: la celeberrima O sole mio.

Giuliana Cutore

17/10/2018