Un capolavoro nel capolavoro
Il capolavoro è Madama Butterfly di Puccini. Il capolavoro nel capolavoro è la rappresentazione che della Butterfly s'è data la sera del 19 aprile ultimo scorso presso il Teatro di San Carlo di Napoli. Messa in scena che vede Ferzan Ozpetek uno dei protagonisti insieme al direttore d'orchestra Gabriele Ferro. A questi nomi aggiungo le scene di Bruno Tramonti, i costumi di Alessandro Lai, le luci di Pasquale Mari, la direzione del coro di Gea Garattini Ansini. Questo favoloso gruppo di «lavoratori del teatro» (nella maniera più completa e appropriata del termine), ha regalato ad un pubblico in larga parte internazionale uno spettacolo di alta levatura come di rado è dato assistere.
In una scenografia realizzata con un fondale d'un mare in tempesta di grande effetto e due grandi pareti laterali che ora si aprono e ora si chiudono a seconda delle necessità (ora incombono, ora si allontanano) si svolge l'intera opera. E luci appropriate che irrompono, sferzano, carezzano, accompagnano, denunciano i vari stati d'animo della protagonista.
La regia di Ferzan Ozpetek riesce a inchiodare lo spettatore per tutta la durata dell'opera (com'era anche il desiderio di Puccini: così scrive in una lettera a Luigi Illica, il 16 novembre 1902) e i tempi dilatati dell'atto primo sembrano visti attraverso una lente d'ingrandimento che tutto espande e determina. I gesti della bravissima soprano Rebeka Lokar (l'elenco delle piccole cose «Fazzoletti. La pipa. Una cintura…»), sono determinati, semplici, leggibilissimi sul palcoscenico. Già il suo apparire ha un'efficacia scenica propria suggerita dalla mano esperta di Ozpetek e sottolineata da un'orchestra sempre presente dalle languide appoggiature vocali della cantante, dal trio d'archi solisti, dall'arpa che configurano un itinerario ascendente di tenere dissonanze e dal coro femminile. La Butterfly di Ozpetek matura col maturare “in scena” della vocalità del soprano voluta dal compositore. Dalla felicità della scena nuziale, all'ansia drammatica dell'attesa, alla consapevolezza dell'ineluttabilità della tragedia.
Una vocalità che Puccini utilizza al meglio sottolineando la complessità del personaggio e che Rebeka Lokar è riuscita a rendere meravigliosamente cantando al contempo una femminilità adolescenziale e una maturità emotiva. Per esempio, con quelle impennate verso l'acuto nell'autopresentazione («Amiche, io son venuta al richiamo d'amor»), con la sua bella voce di soprano lirico dal registro centrale morbido e consistente. In grado di affrontare agevolmente gli assoli drammatici della geisha «Che tua madre» e «Tu, tu, piccolo iddio» sottolineando una intensità emotiva sconvolgente portando la voce dal grave all'acuto e viceversa con maestria e stile.
Punte molto alte tocca la Lokar. Un'estasi vocalistica il suo «Un bel dì vedremo» (splendida l'orchestra con clarinetto e violino solo sul tremolo del violini primi con sordina). Da manuale il suo recitativo. Le realistiche visioni del personaggio cantate con perizia assoluta: «mi metto là sul ciglio del colle», «chi sarà», col contrasto emotivo sublime del «s'avvia per la collina» (splendidamente citato da trombe e tromboni poco prima della conclusione dell'opera).
Il tenore Angelo Villari rende un Pinkerton nella maniera più congeniale alla figura dello Yankee spensierato, traditore e incostante in amore. Voce possente e bellissima, a “ore rotundo”, ben presente già nel «Dovunque al mondo» dove l'accento entusiastico (dell'inno americano) riceve spinte vigorose dagli ottoni e dalle brusche ascensioni di tonalità, rese perfettamente dall'orchestra. Un pentimento vero pare sgorgare dal canto di Villari nel «Addio fiorito asil / di letizia e d'amor», alla fine dell'opera mentre Sharpless chiede a Suzuki che Butterfly consegni il figlio. L'orchestra sempre eccellente con gli arpeggi del clarinetto e dell'arpa (e del soffuso caldo timbro del corno in sordina), un pentimento portato dal tenore con una perizia vocale che fa diventare lui, Pinkerton, la vittima e non Butterfly.
Ogni movimento dei cantanti-attori è portato alla naturalezza del gesto sul palcoscenico. Veramente Ferzan Ozpetek è riuscito a rendere l'emozione, il sentimento e la voluttà. Bellissima e per niente volgare la scena d'amore dei due cantanti nudi sul palcoscenico. Toccante il «Vogliatemi bene» di Lokar (e il violino solista). Partecipe e sembra veramente innamorato Pinkerton nel suo «Un po' di vero c'è». Il coro a bocca chiusa e il video della scena dell'attesa che passi la notte hanno avuto una valenza fortemente passionale sugli spettatori. Il coro ha saputo regalare al pubblico una perla emotiva di rara bellezza.
Molto bravi tutti gli altri cantanti e il gruppo di attrici che hanno rappresentato, in costume, l'alter-ego di Butterfly per tutta la durata dello spettacolo, sia in platea, sia sul palcoscenico. Eccellente Chiara Tirotta (Suzuki). Dalla bellissima voce il baritono Filippo Polinelli (Sharpless). Bravo Ildo Song nello zio Bonzo. Dell'orchestra abbiamo già detto sopra, diretta magnificamente dal maestro Gabriele Ferro.
Anche i bellissimi costumi di Alessandro Lai (l'opera è stata ambientata negli anni Cinquanta del Novecento) e le sapienti luci di Pasquale Mari (bellissimo l'effetto luministico della scena finale con Butterfly agonizzante ed il candore delle luci che ne rendeva il corpo splendente d'alabastro) hanno reso possibile uno spettacolo di livello superlativo.
Francesco Cento
26/4/2019
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