Giacomo Puccini. Bello e…possibile.
Un nuovo volume della Zecchini sul compositore lucchese
La musica di Giacomo Puccini ha avuto spesso la peculiarità di dare origine e suscitare giudizi estremi: dal più entusiasta e fanatico consenso al più feroce ed irrisorio diniego. La prima ampia e circostanziata denigrazione della musica pucciniana fu operata dall'ingegnere e musicologo autodidatta Fausto Torrefranca, il quale dava alle stampe nel 1912 per l'editore Bocca di Milano il libello Giacomo Puccini e l'opera internazionale, nel quale dopo tante sconclusionate e scombinate affermazioni fece una delle più incaute e avventate profezie che a distanza di oltre un secolo si è confermata come una delle più insulse corbellerie di tutta la storia musica. Egli infatti ebbe erroneamente ed imprudentemente ad annotare: «Delle sue musiche…resterà fra qualche decina d'anni soltanto il ricordo». Ahimè per lui le opere di Puccini non solo sono ancor oggi presenti in quasi tutti i cartelloni d'opera del mondo, ma restano certamente fra le più rappresentate in assoluto, Bohème in testa seguita da Tosca, Madama Butterfly e Turandot.
Ma lasciamo le risibili cantonate del Torrefranca alla riflessione dei contemporanei e soffermiamoci invece sui meriti del volume Giacomo Puccini. Bello e …possibile di Vincenzo Ramón Bisogni e pubblicato dalla casa editrice Zecchini di Varese appena il mese scorso. A parte la scrittura accattivante, piana e fluente dell'autore, ci pare necessario evidenziarne anche la puntuale analisi strutturale dei melodrammi del compositore lucchese, mai eccessivamente minuziosa o pedante da un lato né troppo sommaria o superficiale dall'altro, ma sempre misurata e ben calibrata all'interno della struttura complessiva del saggio che non supera le 250 pagine.
Il valente Ramón Bisogni ha anche saputo ben fondere ed amalgamare nel suo libro l'approccio tecnico specialistico con quello culturale-sociologico, storico-biografico ed emozionale psicologico. In modo tale da cogliere le derivazioni e connessioni fra il mondo affettivo interiore di Giacomo Puccini e la musica che avvolge, fascia e impregna i personaggi dei suoi melodrammi. Inoltre l'ammirazione e l'entusiasmo dell'autore per la produzione del compositore toscano si tradisce palesemente in due passaggi: «…Così, per la perizia orchestrale basterà ricordare come Maurice Ravel insegnasse composizione tenendo aperta la partitura de la Fanciulla del West da cui, a suo dire, era mutuabile l'intero scibile che un compositore debba possedere qualora intenda definirsi moderno.». Ed ancor più in questo passo successivo: «Geniale ancora ci appare di lui l'ormai riconosciuta modernità di dottrina: per lo Stravinskij di Petruska chiaramente anticipato nell'atto II di Bohème e riaffermato in Tabarro per lo Schönberg assimilato nei richiami dei fantasmi nell'atto I di Turandot; con le settime, le none, le tredicesime che ne connotano lo strumentale fin da Le Villi; le settime dissociate senza consonanze nell'intermezzo di Manon Lescaut e le celebratissime quinte vuote dell'avvio dell'atto III di Bohème ; e il tritono, manco a dirlo diabolus in musica, di Scarpia…Splendidamente innovativi, poi, risultano i suoi finali d'atto all'insegna della teatralità massima…».
Un volume degno di stare in ogni biblioteca che si rispetti, utilissimo sia per musicisti, musicologi e musicofili, sia anche per semplici appassionati di storia della musica
Giovanni Pasqualino
15/10/2014
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