RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Turandot

al Teatro Sociale di Rovigo

Un successo pieno la prima rappresentazione della fiaba lirica Turandot di Giacomo Puccini, messa in scena al Teatro Sociale. Uno spettacolo notevolmente azzeccato quello che ha ideato Massimo Pizzi Gasparon Contarini, anche se per dovere di cronaca bisogna sottolineare che regia e scene erano state create da Pier Luigi Pizzi per l'Arena Sferisterio di Macerata qualche anno addietro. Considerate le diverse dimensioni dei palcoscenici non è possibile affermare che Massimo Gasparon abbia solamente ripreso la regia, egli ha ri-ideato uno spettacolo già creato e l'ha adattato alle più ristrette dimensioni del teatro rodigino, creando ex-novo una drammaturgia di forte impatto teatrale.

La scena era composta da una grande porta al centro e due uscite ai lati, da cui scendeva un'imponente scalinata. Sottostante, sempre al centro, una grande statua dorata con molteplici braccia, la quale anche se non sembrava appartenere alla cultura cinese, ben figurava nell'insieme, nel quale il colore rosso era dominante. I costumi, seppur di fattura, erano piuttosto anonimi per i protagonisti, anzi quelli di Turandot certamente odierni, mentre gli altri personaggi rispondevano a una precisa tradizione locale asiatica. L'impianto fisso, di maestoso effetto, impone che tutta l'opera si sviluppi sulla scalinata, e qui la mano esperta di Gasparon trova felice soluzione in uno spostamento di masse che con certezza possiamo definire eleganti, mentre sui singoli egli ha trovato idee efficaci nel rilevare l'importanza del ruolo attraverso entrate, gestualità e movimenti opportuni. Il regista inoltre ha avuto il merito di non voler trovare soluzioni e linee registiche collaterali o diverse ma ha realizzato una fiaba il cui fulcro primario era il sentimento, l'amore e la passione. Di grande carisma il ruolo delle tre maschere che si rifanno alla commedia dell'arte e recitano con garbata sintonia attoriale.

Sul podio dell'Orchestra Regionale Filarmonia Veneta il valido direttore Simon Krecic, il quale ha concertato con mano sicura e tempi azzeccati l'intera partitura. Molto preciso nel gesto, negli attacchi soprattutto, ha condotto il difficile lavoro pucciniano trovando sonorità controllate e una sintesi narrativa molto buona. Non sono mancati un decisivo slancio e anche una ricercatezza di colori che nell'insieme hanno contribuito alla buona riuscita dello spettacolo. Molto efficiente la prova dell'Orchestra Filarmonia, più precisa che in altre occasioni, e buono il contributo, non secondario in quest'opera, del Coro Lirico Veneto diretto da Giuliano Fracassso.

Il cast era molto omogeneo e con risultati positivi. Lilla Lee, Turandot, che ricordavamo sufficiente Tosca lo scorso anno, trova in questo ruolo altre e più consone carte da giocare. Infatti il registro acuto è molto radioso e senza indugi, la freddezza del personaggio contribuisce a un'interpretazione rilevante. Una prova molto positiva anche se è giusto evidenziare che la zona centrale della voce era piuttosto sfogata. Walter Fraccaro, Calaf, ha affrontato con spavalderia il temibile ruolo e anche se forse lo stile non era così rifinito, erano sorprendenti la sicurezza in acuto e la modulazione della voce, ormai non più freschissima, nei momenti più lirici. Un'ovazione ha accolto la sua esecuzione di “Nessun dorma” che prontamente e senza indugi è stata bissata. Il tenore veneto, che in tempi recenti pareva un po' dileguato dai nostri teatri, ha ancora possibilità di prim'ordine.

Angela Nisi, Liù, è stata una delicata interprete che ha saputo confrontarsi in un ruolo tipicamente lirico attraverso una voce piena, bella e salda, offrendo un canto molto ragguardevole anche se nelle mezze voci tende a sbiancare un po' troppo il suono, ma nell'insieme la sua performance è stata molto apprezzabile. Il Timur di Ivan Tomasev era di grande professionalità sfoderando una voce importante ma non sempre ben amministrata, ma il ruolo non lo espone in parti scoperte e pertanto l'esibizione era soddisfacente.

Ben assortite le tre maschere: Italo Proferisce (Ping), Nicola Pisaniello (Pong) e Davide Ferrigno (Pang), i quali hanno saputo ben eseguire la scena del secondo atto con spiccata musicalità e ottima resa vocale, anche se Pong era leggermente inferiore ai colleghi quanto a volume. Ivan Marino era un corretto Mandarino, mentre troppo sopra le righe e poco calibrato nel canto era l'Imperatore Altoum di Francesco Paolo Graziano.

Infine, una curiosità. Non sono a conoscenza di chi abbia deciso di eseguire l'opera fino alla morte di Liù, ovvero fin dove l'autore l'aveva orchestrata e inoltre in soluzione unica senza intervalli. Per quanto riguarda il primo aspetto nulla da obiettare, anzi trova una continuità drammatica molto teatrale, anche se non dobbiamo dimenticare che Puccini aveva in mente un finale sul quale si era ingarbugliato e non ha fatto in tempo a completarlo. Personalmente non ho preferenze anche per i diversi finali “aggiunti” in seguito. Mentre non posso che esprimere un plauso alla proposta di eseguire l'opera senza interruzioni, la quale conta circa cento minuti di musica e segna un ascolto più efficace e completo. Ben assortiti i figuranti, che donavano un ulteriore prezioso contributo teatrale.

Come anticipato, successo trionfale al termine con particolari ovazioni per i tre intrepreti principali e il direttore.

Lukas Franceschini

25/1/2019

Le foto del servizio sono di Loris Slaviero.