Il gelo di Turandot si scioglie
nel finale di Luciano Berio
Musicato da Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, Turandot è un complesso dramma lirico in tre atti e cinque quadri nel quale si fondono e si confondono forti contrasti, come i più disparati elementi del mondo fiabesco e di quello reale, della vita e della morte, dell'amore e dell'odio, del grottesco e della farsa, dell'eroico e del tragico, della passione e dell'insensibilità, in un grande affresco esotico avvincente e sontuoso. Le due scene conclusive di Turandot purtroppo sono rimaste incomplete, vale a dire il duetto d'amore e la scena finale del terzo atto. I resti di tali scene sono sparsi su 36 pagine di abbozzi di partitura pieni zeppi di temi, appunti, annotazioni, didascalie, che il maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles dove era andato per curare un tumore alla gola, ma che purtroppo non riuscì a elaborare per la sopravvenuta morte.
Pertanto il melodramma rimane compiuto fino alla scena della morte di Liù (precisamente fino alla parte affidata agli ottavini sui versi Liù poesia), personaggio assente sia nella favola omonima del Gozzi che nell'adattamento che ne aveva fatto Schiller per il teatro tedesco. A volere inserire nel libretto dell'opera il tenero personaggio della piccola umile schiava, il cui sacrificio d'amore sovrasta tutto il plot , era stato proprio il compositore lucchese, forse per dare libero sfogo al suo sentimento lirico-tragico, forse perché da un punto di vista psicoanalitico proiettava in esso la tragica vicenda occorsa a Doria Manfredi. Quest'ultima era stata una giovane servetta in casa Puccini che, per il suo carattere allegro e giulivo, spesso celiava e scherzava con il maestro. La terribile moglie di Puccini, Elvira, in un eccesso di cieca gelosia aveva buttato fuori di casa la ragazza, insolentendola e diffamandola in modo pesante, arrivando a insinuare che fosse l'amante di Giacomo. La giovane domestica, a causa dello scandalo e per la vergogna, si suicidò ingerendo del sublimato corrosivo. La famiglia della ragazza, ingiustamente diffamata, fece condurre un esame necroscopico sul suo corpo, dal quale risultò che era assolutamente illibata e dunque… innocente! Alla fine il maestro, per tacitare la giusta collera della famiglia, che fra l'altro aveva fatto causa alla moglie, la dovette risarcire con una forte somma di denaro che in ogni caso non riuscì a cancellare dal suo animo il rincrescimento e lo strazio provato per la dolorosa vicenda.
Sarà poi il compositore Franco Alfano, per incarico di Arturo Toscanini, a completare il finale dell'opera cercando di rispettare gli appunti lasciati dal maestro. Ma a Toscanini tale finale non piacque perché lo giudicò prolisso, così lo ridusse e ne propose una versione abbreviata, che sarà poi quella più eseguita per lungo tempo. Solo nel 1982 a Londra è stata rinvenuta la partitura originale concepita da Alfano. Nel 1988 la compositrice americana Janet Maguire rielaborò gli appunti di Puccini e ricreò un suo finale che però non è stato mai rappresentato. Nel 2001 il compositore Luciano Berio rimaneggiò, sempre in base agli appunti lasciati dal compositore, un nuovo finale al quale è seguito quello realizzato dal giovane compositore cinese Hao Weija in occasione del 150° anniversario della nascita di Puccini, finale che ha ripreso il tema del Molihua (canzone del gelsomino) e che è stato eseguito per la prima volta a Pechino nel 2008. L'incompiutezza dell'opera è tutt'oggi oggetto di discussione tra gli studiosi e musicologi. Infatti c'è chi sostiene che Turandot rimase incompleta non solo a causa dell'inesorabile progredire del male che affliggeva l'autore, bensì anche per l'incapacità, o piuttosto l'intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d'amore conclusivo, troppo in contrasto con la precedente morte di Liù.
Il melodramma pucciniano, con il finale realizzato da Luciano Berio, è stato proposto nell'edizione messa in scena dal Teatro Bellini di Catania il 12 gennaio 2024 (repliche fino al 20) per l'inaugurazione della stagione lirico-sinfonica 2024 con l'allestimento prodotto dal Festival Pucciniano di Torre del Lago e dell'Opera Nazionale Georgiana di Tblisi.
La regia approntata da Alfonso Signorini ha voluto evidenziare e far spiccare ancora di più la figura della giovane schiava Liù, segretamente innamorata del suo padrone principe Calaf, che sacrificherà la sua vita per non svelarne il nome alla crudele Turandot. Tre gli accorgimenti innovativi usati dal regista e non predisposti dal libretto. Il primo quello di far suggerire da Liù a Calaf la soluzione del terzo enigma che gli spianerà la via alla mano della principessa. Il secondo che vedrà l'apparizione a Turandot del fantasma dall'ava placato, rabbonito e anzi quasi lieto del nuovo sentimento d'amore che si agita nel petto della sua discendente. Infine la compassione mostrata da Turandot per il corpo inerte di Liù che col suo gesto estremo gli ha rivelato la strada dell'amore incondizionato e assoluto. Tali accorgimenti registici si sono rivelati originali, appropriati e sicuramente funzionali allo svolgimento dell'azione. Parecchio suggestive e pertinenti al plot erano sia le scene di Carla Tolomeo che i magnifici costumi di Fausto Puglisi, entrambi ripresi dalla creatività di Leila Fteita, mentre i disegni di luci di Antonio Alario riuscivano a creare spazi visivi sempre ben delineati, definiti e rifiniti.
Daniela Schillaci nel ruolo eponimo ha saputo restituire tutta la complessità psicologica del personaggio sia da un punto di vista vocale che drammaturgico, riuscendo a tracciare e dosare con maestria il graduale passaggio e scivolamento emotivo dall'algida crudeltà alla compassione umana fino all'amore generoso e travolgente. Il tenore Angelo Villari (Calaf) è sicuramente fornito di un egregio squillo tenorile anche se la sua prestazione, per quanto elegante e disinvolta, ha evidenziato qualche disomogeneità fra la zona media e quella acuta, quest'ultima non sempre rifinita e coperta. Elisa Balbo (Liù) ha messo in evidenza una vocalità tecnicamente ben strutturata in possesso di ottime mezze voci, delicati filati e una corposa zona media. Il basso georgiano George Andguladze (Timur) rivelava buona presenza scenica unita ad una voce dalla timbratura salda e bronzea ma nel contempo limata e nitida. Ping (Vincenzo Taormina), Pong (Saverio Pugliese) e Pang (Blagoj Nacoski) hanno saputo rendere il quadro del primo atto, nel quale sono protagonisti, in tutta la sua colorata e multiforme grazia e spensierata leggiadria, sia sul versante drammaturgico che interpretativo. In ruolo anche Mario Bolognesi (Altoum) e Tiziano Rosati (un mandarino).
Il maestro Eckerard Stier nel complesso ha interpretato la partitura in modo corretto e abbastanza funzionale riguardo l'azione che si svolgeva sul palcoscenico anche se, a nostro avviso, in qualche passaggio avrebbe potuto evitare delle sonorità alquanto esuberanti che sovrastavano le voci dei cantanti. Adeguati e ben calibrati gli interventi del Coro del nostro teatro preparato dal maestro Petrozziello e del Coro interscolastico di voci bianche Vincenzo Bellini predisposto da Daniela Giambra.
Giovanni Pasqualino
13/1/2024
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
|