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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

I Puritani al Teatro Bellini di Catania

chiudono la stagione lirica e dei balletti 2015

Ultima opera del non esteso catalogo belliniano formato da appena dieci titoli, I Puritani ha fatto versare fiumi d'inchiostro ai musicologi di tutto il mondo poiché della partitura il compositore catanese ha lasciato due versioni, quella scritta per Parigi e rappresentata per la prima volta al Théâtre Italiens il 24 gennaio del 1835 ed una seconda denominata “ versione napoletana” in quanto avrebbe dovuto essere rappresentata nella capitale partenopea, più o meno nello stesso periodo, ma con significative varianti e che invece per motivi pratici non venne mai messa in scena vivente l'autore, anzi quest'ultima dovette aspettare più di un secolo e mezzo, fino al 2 aprile 1986, per venire rappresentata sul palcoscenico del teatro Petruzzelli di Bari. La versione parigina si avvaleva di un cast stellare per l'epoca, vale a dire Giulia Grisi (soprano), Giovan Battista Rubini (tenore), Luigi Lablache (basso) e Antonio Tamburini (Basso-baritono) ed inoltre da essa furono espunti fin dalle prime rappresentazioni alcuni brani significativi: 1) il cantabile del terzetto del primo atto“Se il destino a te m'invola”; 2) il cantabile del duetto del terzo atto “da quel dì che ti mirai”; 3) la cabaletta di Arturo ed Elvira nel finale dell'opera “Ah sento, o mio bell'angelo”, perché come spiegò lo stesso Bellini nella lettera a Florimo del 26 gennaio 1835, ad ogni rappresentazione era richiesto il bis della Polacca e della cabaletta dei due bassi: «…Ho accorciato qualche cosa ancora perché con le repliche dei due pezzi…l'opera finisce a mezzanotte, e qui non sono avvezzi, e non vogliono stare in teatro…; quindi ieri ho tolto quanto d'indifferente vi era, e quasi ho accorciato l'opera di 35 a 40 minuti». Nella cosiddetta “versione napoletana” i pezzi espunti erano rimasti nella loro integrità ma la parte di Elvira, perché a interpretarla avrebbe dovuto essere la grande Maria Malibran (mezzo soprano) era stata abbassata, mentre la parte affidata a Tamburini (baritono) era stata trascritta per la voce di tenore e sarebbe stata affidata a Francesco Pedrazzi. Venne espunta invece la cabaletta dei due bassi: «Suoni la tromba e intrepido» perché, come scrisse lo stesso compositore, era troppo ardita per la corte borbonica ed i sui sudditi. Già in una lettera del 26 maggio 1834 il compositore catanese aveva già manifestato in una lettera a Florimo del 26 maggio 1834 la sua acuta coscienza e lungimiranza storica: «…Quest'inno è fatto pel solo Parigi, ove si amano pensieri di libertà. Hai Capito? Per l'Italia Pepoli cambierà egli stesso tutto l'inno e non nominerà neanche il motto libertà, e così cambierà se nell'opera vi saranno frasi liberali; quindi non ti prender cura, ché il libro sarà accomodato, se lo vorranno dare a Napoli».

Giovedì 3 dicembre al Teatro Massimo Bellini di Catania è andata in scena l'edizione critica dell'opera a cura di Fabrizio della Seta, realizzata con il contributo dello stesso teatro etneo per le edizioni Ricordi di Milano, che si proponeva con l'inserimento dei due primi brani sopra citati e l'esclusione della cabaletta finale dell'opera “Ah sento o mio bell'angelo”, cosa della quale non comprendiamo appieno il motivo.

La regia ed i costumi di Francesco Esposito pur proponendosi nei limiti del consuetudinario e del tradizionale riuscivano a creare un'atmosfera quanto mai adeguata e pertinente al ductus generale dell'azione che si rivelava spesso variegata e dinamica, con chiusure ed aperture verso spazi prospettici poliedrici e multiformi, mai però straripanti al punto da mettere in secondo piano il flusso melodico temporale della splendida musica belliniana. Funzionali altresì le suggestive, anche se un po' cupe, scenografie di Alfredo Troisi, così come le luci di Bruno Ciulli.

Il tenore Shalva Mukeria riusciva a districarsi con onore e buona prestanza vocale fra le estreme difficoltà della parte assegnata a Lord Arturo Talbo, mostrando però carente copertura degli acuti ed un certo logorio di forze nel terzo atto. Il soprano Laura Giordano, che di fatto ha debuttato nel ruolo d'Elvira, ci ha offerto una prova magnifica di dizione, tecnica vocale e di coloratura, non perdendo mai la concentrazione sulla resa anche psicologica del delicato personaggio femminile. Il basso Dario Russo (Sir Giorgio) oltre ad una notevole prestanza scenica ha messo in campo una possente e stentorea voce dalla bronzea e vigorosa brunitura, dal fraseggio corretto e ben definito, riscuotendo applausi fragorosi specie alla fine della romanza “Cinta di fiori”. Di buon livello anche la prestazione offerta da Carmelo Corrado Caruso (Sir Riccardo Forth) al quale è mancata solo qualche morbidezza e qualche lieve raffinatezza nella copertura degli acuti e nella conduzione dei legati. Validi ed efficaci gli interventi di Nidia Palacios (Enrichetta di Francia), Davide Giangregorio (Lord Gualtiero Valton), Giuseppe Costanzo (Sir Bruno Roberton).

La direzione orchestrale di Fabrizio Maria Carminati è riuscito a districarsi fra le maglie di una partitura certo non facile né agevole, anche se talvolta tendeva a sovrastare le voci con sonorità eccessive elasciarsi trascinare da tempi alquanto sostenuti, per non dire frettolosi. Ben articolati e ben sincronizzati gli interventi del coro del teatro preparato e diretto da Ross Craigmile.

Giovanni Pasqualino

4/12/2015

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.