Concerti di Primavera – La voce e l'orchestra Quarto concerto: tenore e soprano per Wagner e Strauss
Due per due: due interpreti, il tenore Brenden Gunnell e il soprano Orla Boylan, per due certi “Richard”: Wagner e Strauss. Questa la formula del quarto «Concerto di primavera», eseguito giovedì 16/06/2016 dall'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN) diretta da Jeffrey Tate, suo direttore ospite principale fino al 2001 e poi direttore onorario.
Prima parte della serata dedicata a Wagner. Ha aperto il concerto il Preludio del Parsifal, “dramma sacro” composto, dopo una lunga gestazione, tra il 1877 e il 1882, e ispirato principalmente al poema cavalleresco Parzival di Wolfram von Eschenbach (ca. 1210). Come in quasi tutte le opere di Wagner, la pagina orchestrale introduttiva, lungi dall'avere mera funzione di sipario d'apertura, presenta i Leitmotiven principali di tutto il dramma: il “motivo dell'agape”, il “motivo della piaga” e il “motivo della lancia” (riuniti nella stupenda frase iniziale), il motivo dell'”amen di Dresda” (presente già nella Quinta Sinfonia di Mendelssohn “della Riforma”), e altri – tutti gli elementi, insomma, su cui si regge la complessa impalcatura di richiami e rimandi sonori tra orchestra, voci e azione scenica (per quanto il Parsifal sia la meno “scenica” tra le opere di Wagner, quella che, più delle altre, fa della staticità il suo punto di forza, per quanto paradossale).
Jeffrey Tate imposta la direzione ponendo l'accento sulle dinamiche: i raffinati crescendo-diminuendo, dosati con sapienza, ne sono la prova. La velocità è sufficientemente adatta alla sacralità del brano, sebbene un ulteriore rallentamento non avrebbe sfigurato – rimane per me di riferimento l'esecuzione di Knappertsbusch del 1951, con cui fu riaperto in tempi moderni il Teatro di Bayreuth, di una lentezza mai più riproposta, neppure dallo stesso Knappertsbusch, che nel 1962, quando diresse il Parsifal per l'ultima volta, aveva notevolmente accelerato i tempi. L'OSN, pure abituata a risultati altissimi, si dimostra solo parzialmente all'altezza di questo brano, che fa del timbro, spesso diafano, la cifra distintiva. In generale si tratta di un'esecuzione più che buona; qua e là, però, alcuni suoni “sporchi” di oboi e corni incrinano l'impasto sonoro, come pure alcuni strumenti – tromba, corno inglese… – che restano troppo in evidenza e non riescono a fondersi nell'amalgama timbrico.
Scorrendo il programma, Brenden Gunnell e Orla Boylan vestono i panni rispettivamente di Siegmund e Sieglinde nella terza e ultima scena dell'atto I della Walküre (La Valchiria), prima “giornata” e seconda opera della tetralogia del Ring des Nibelungen (L'anello del Nibelungo) composta tra il 1854 e il 1856. Il duetto in cui Siegmund e Sieglinde, pur scoprendo di essere fratelli, si confessano il loro amore (secondo il critico Jean-Jacques Nattez, alla carnalità di questo amore, al “colpo di reni” da cui nascerà Siegfried fra la prima e la seconda “giornata”, fa allusione il brusco accordo che termina questo duetto e l'intero primo atto: interpretazione tanto curiosa, quanto fantasiosa) è anche la pagina in cui Siegmund estrae dal frassino della casa di Hunding la spada che anni prima aveva piantato suo padre, Wotan in persona, il re degli dèi, nel giorno delle nozze di Sieglinde: spada che diverrà l'arma di Siegfried nella seconda “giornata”. E proprio attorno al “motivo della spada” (perfino la spada, l'invincibile Notung, ha un Leitmotiv!) ruota tutta la scena, frequentemente richiamata dalla tromba bassa.
Brenden Gunnell, già Edipo nell'Œdipus rex di Stravinskij il 7 e 8 aprile 2016 per il diciannovesimo concerto della stagione Rai, ha prestato una voce a tratti stentorea al suo Siegmund, dimostrandosi quasi sempre valido interprete, soprattutto nel versante tecnico; che non sia interprete wagneriano puro è però evidente nella difficoltà manifestata più di una volta a reggere la parte e nel timbro, quello di un tenore chiaro, lirico (in certi casi lirico spinto) e non eccessivamente di volume, adatto più al belcanto spianato.
Tutt'altro stampo Orla Boylan, soprano irlandese: dalla voce piena, rotonda, con timbro freddo ma penetrante: si addita come valida la scelta di interpretare un personaggio come Turandot nella produzione di Calixto Bieito alla Northern Ireland Opera: ciascuno ha nelle sue corde vocali certi ruoli, altri no. I ruoli che si confanno alla Boylan sono quelli di voci squillanti, decisi, potenti. La sua Sieglinde, sovente chiamata a sovrastare l'orchestra con acuti a pieni polmoni, è una donna di carattere forte, senza mezzi termini. E, a voler essere pignoli, potrebbe essere questo, forse, l'unico suo punto debole: la poca capacità di calibrare il volume sonoro – il piano non molto dissimile dal forte –, che va a scapito di un personaggio e soprattutto di un'interpretazione a tutto tondo. È comunque l'unico demerito che si può trovare in un'artista completa e dotata tra l'altro di buona dizione (il testo tedesco è risultato comprensibile in certi punti anche senza libretto).
Migliora qui la prestazione dell'OSN, che, a parte lievi pecche degli ottoni nelle fasi finali più concitate, accompagna le voci con giusti volumi e lumeggiature adeguate, partecipando quasi come terzo personaggio, sotto una direzione sempre attenta a seguire lo svolgimento dei fatti a partire dal testo.
Seconda parte della serata dedicata allo Strauss operistico. Per prima, una suite strumentale tratta da Intermezzo Op. 72, opera scritta nel 1924, basata su un fatto realmente accaduto nella vita del compositore (un misunderstanding con la moglie poi risoltosi senza conseguenze), in cui, come dice il titolo, grande peso è accordato agli intermezzi strumentali. Vengono qui eseguiti l'Eccitazione per il viaggio e scena del valzer, il Sogno davanti al camino, Al tavolo da gioco e il Lieto fine.
La direzione di Tate è qui più disinvolta, scorrevole complice la musica più leggera, meno impegnata (e impegnativa, quanto meno all'ascolto), e alle dimensioni dell'orchestra, con i contrabbassi portati da otto a quattro e tutti i fiati ridotti di conseguenza (i corni, da otto più quattro tube wagneriane, cioè corni baritoni, a due…), benché rimanga evidente il polso imposto ai musicisti. L'esecuzione dell'OSN si fa più sciolta, più briosa, ma non meno precisa, tanto nei passaggi più movimentati, quanto in quelli più rilassati, come nel secondo, caratterizzato da un'atmosfera di onirica dolcezza: un mix ben dosato di grandiosità e graziosità.
Le voci di Gunnell e Boylan tornano protagoniste nel brano di chiusura, il finale dell'Ariadne auf Naxos (Arianna a Nasso) Op. 60, opera del 1912 poi rimaneggiata nel 1915-6, su libretto di Hugo von Hofmannstahl tratto da Le Bourgeois gentilhomme di Molière. Nel finale, Arianna (soprano) si abbandona nell'abbraccio di Bacco (tenore) su un accompagnamento quanto mai arioso dell'orchestra.
Gunnell si trova in questo caso molto più a suo agio rispetto a prima: sia per il ruolo differente, sia per il fatto di aver ampiamente scaldato la voce in precedenza, il canto gli viene più naturale, più spontaneo, molto più nelle sue corde: un ottimo Bacco, con più convinzione interpretativa e più soddisfazione per l'ascolto. Sempre tecnicamente ineccepibile, specialmente in alcuni legature particolarmente ben riuscite, Orla Boylan, che si riconferma campionessa di acuti, benché qui il ruolo non richiedesse, a differenza di altri ruoli straussiani, specialmente quelli più espressionisti (Salome, Elektra…), che sarebbero più adatti alle sue risorse vocali, doti così spiccata, così prorompente sonorità.
Christian Speranza
24/6/2016
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