Fanciulle, pirati e cisterna
Tanto lineare la storia di Chiara e Serafina, priva di quelle stratificazioni che danno ai musicologi filo da torcere, quanto ingarbugliata la sua trama.
Il 1822 è un anno pieno di soddisfazioni per Donizetti: dopo i successi di Zoraida di Granata (Roma, 28/01, prima versione: la seconda, del 1824, verrà probabilmente allestita a Bergamo fra due anni), La zingara (Napoli, 12/05, della quale parlò bene perfino Bellini) e La lettera anonima (Napoli, 29/06: esatto, appena sei settimane dopo La zingara), la ciliegina sulla torta arriva dalla Scala di Milano, che in primavera gli commissiona un'opera per la stagione autunnale: nulla di meglio per un operista in rapida ascesa, con in più la collaborazione del rodatissimo Felice Romani. Ma, quasi da copione, la consegna del libretto slitta – Romani oberato di lavoro come al solito –, i cantanti sono riottosi, la censura ci mette lo zampino, le prove vengono come vengono – per non parlare di una certa ansia da prestazione da parte di un Donizetti venticinquenne stretto con i tempi e di una trama, come si diceva, ingarbugliata, tratta da La citerne, mélodrame di René Charles Guilbert de Pixérécourt, del 1809: risultato, l'opera debutta il 26 ottobre 1822, viene rappresentata una decina di volte senza particolari consensi e sparisce dai radar.
Almeno fino ad oggi. Il Donizetti Opera Festival 2022 rispolvera questo titolo nell'ambito del progetto “Donizetti 200”, che propone ogni anno, ormai dal 2017, un'opera donizettiana arrivata al suo bicentenario. Finora è stata la volta di: Pigmalione (2017, anche se la partitura è datata 1816; rappresentata assieme alla farsa Che originali! di Johann Simon Mayr), Enrico di Borgogna (1818-2018), Il falegname di Livonia (1819-2019), Le nozze in villa (1820-2020); nel 2021, non essendoci nessuna opera che compisse duecento anni, si optò per la Medea in Corinto di Mayr, opera del 1813 di cui nel 1821 l'autore approntò una seconda versione proprio per il Teatro Sociale di Bergamo, forse con la collaborazione di Donizetti stesso.
E proprio dal Sociale di Bergamo Alta Chiara e Serafina torna a far parlare di sé. Sesto Quatrini dirige con garbo, discrezione e appropriatezza di fraseggio, concede ai solisti margini di improvvisazione, cucendo l'esecuzione sul solista (in questo recependo la lezione di Gavazzeni) e ricavando sia parentesi di lirismo, sia momenti di frizzante vivacità, frutto di un lavoro accurato e non preimpostato su una partitura per sua natura eterogenea. L'Orchestra Gli Originali, ensemble che, come dice il nome, ha l'obiettivo di restituire la sonorità di quando vennero scritte le musiche che eseguono grazie a strumenti d'epoca o storicamente informati (accordatura degli archi a 432 Hz, fiati rispondenti alla costruzione di quel tempo, ecc.), è proprio l'orchestra adatta a questa operazione di archeologia musicale, che apporta, oltre alla curiosità d'antiquariato, anche una conoscenza ulteriore sull'evoluzione stilistica di Donizetti, ancora impastoiato nei rossinismi ma con già in nuce le cifre distintive di certo suo stile comico futuro, il tutto vivificato da un'inventiva brillante e variegata (la scena d'apertura, l'alba sulla spiaggia di Maiorca coi pescatori intenti a curare reti e lenze, già preconizza l'atmosfera di Bel conforto al mietitore di dieci anni dopo). L'uso dell'orchestra è diversificato e attento alla psicologia dei personaggi, come nell'impiego di strumenti solisti ad accompagnare i cantanti per sottolinearne il carattere (nel corno inglese che introduce l'entrata di Chiara c'è già il fagotto e il clarinetto di Una furtiva lagrima). Le forme non sono irrigidite nei canoni dei predecessori: vi è spazio per tutto, per l'aria solistica, per il coro, per duetti, terzetti, ensemble de perplexité, ma l'insieme assume una dimensione fluida, orientata verso lo sviluppo della trama, senza compiacersi in stasi e lungaggini. Semmai, è il libretto a sovrabbondare di idee e situazioni, con un primo atto di cento minuti e un secondo di ottanta. Su una spiaggia di Maiorca naufragano Don Alvaro con sua figlia Chiara dopo molti anni di prigionia in Nordafrica – ma poco lontano naufraga anche un manipolo di pirati. Prima della loro partenza, Serafina, sorella di Chiara, è stata affidata a Don Fernando, che ha diffuso l'idea di un Don Alvaro traditore e che ora mira a impedire le nozze tra lei e il suo innamorato Don Ramiro per poter mettere le mani sulla sua dote, allontanando i due. A questo losco piano si presta Picaro, naufragato con gli altri pirati, facendosi passare per Don Alvaro (mentre il vero Don Alvaro e Chiara celano la loro identità). Ma Picaro non sa che la cassetta che ha recuperato per caso sulla spiaggia contiene le carte che scagionano il padre delle due sorelle. Sorelle che si ritrovano per la prima volta nel secondo atto in una cisterna ipogea del castello di Belmonte abbandonato, al culmine di inseguimenti tra passaggi segreti e cunicoli sotterranei, travestimenti, doppi giochi e rivolgimenti improvvisi della sorte. A dare una mano allo scioglimento della vicenda – Don Fernando smascherato e Don Alvaro assolto (la cassetta finisce nelle mani di Chiara, che ne svela il contenuto) – contribuiscono Gennaro e Spalatro, i capi dei pirati, Agnese, custode del castello, sua figlia Lisetta e il suo innamorato eternamente respinto Don Meschino.
Totale, undici personaggi! Possiamo anche comprenderli, quei primi spettatori scaligeri, scombuiati da tanto intreccio. Ma, caso singolare, è proprio Don Meschino, il personaggio più esterno, più estraneo alla vicenda, a guidare l'opera. Qui per noi è l'impareggiabile Pietro Spagnoli, che, con la sua bella voce robusta e la sua irresistibile vis comica, che si avvale di tutta la mimica concessa dal pesante trucco e di un'espressività fisica ineguagliabile, trascina il pubblico in quelle che a volte sono vere e proprie gag . Come non ridere quando attacca Mi dicea la nonna mia, la canzonetta che canta nella cisterna pensando di essere oggetto di una burla di Lisetta? Di lì a poco si ritroverà malmenato dai pirati! Il resto del cast è costituito dai solisti dell'Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala. Matías Moncada è sia Don Alvaro, sia Don Fernando, per esplicita richiesta registica («rappresentano entrambi un'età adulta che fa i propri giochi sulla pelle dei giovani coinvolti»: Gianluca Falaschi, regista, nel programma di sala), che offre una buona prova; Hyun-Seo Davide Park è Don Ramiro, voce di tenore limpida, aggraziata e leggera. Saliamo di livello col Picaro di Sung-Hwan Damien Park: personaggio-perno della vicenda, dal quale dipende il lieto fine dell'opera quando da accolito di Don Fernando passa dalla parte dei buoni, è tratteggiato con intelligenza scenica, supportato da una voce di tutto rispetto, espressiva e ben modulata. Il versante maschile è completato dal Gennaro di Giuseppe De Luca e dallo Spalatro di Andrea Tanzillo. Più interessante la compagine femminile, con la Lisetta di Valentina Pluzhnikova, nella quale più emergono i tratti del “melodramma semiserio”, come viene definita quest'opera (genere caratterizzato da un'impostazione di opera buffa con interventi larmoyant e risvolti di patetismo più o meno marcato): in lei convivono parti comiche, come le schermaglie con Don Meschino, tra l'altro ben riuscite sia sul piano vocale, sia su quello scenico, e parti languide, melodiche: Il castello di Belmonte, il racconto di come Don Alvaro sia riuscito a sgominare i pirati, è reso con accento di commossa partecipazione, complice l'apparato di luci (a cura di Emanuele Agliati) e regia che la vuole illuminata su un praticabile a destra del palcoscenico, accanto al palchetto laterale dentro cui l'arpa dialoga con lei e ne sostiene il canto. L'andamento strofico, inframmezzato da riprese del coro, e il contenuto narrativo lo apparentano alla ballata di Senta dell'Olandese volante, seppur coi dovuti distinguo di stile e contesto. Chiudiamo infine con le due sorelle: la Serafina di Nicole Wacker e la Chiara di Aleksandrina Mihaylova, che danno il cambio rispettivamente a Fan Zhou e Greta Doveri, impegnate nelle altre tre recite del 16 (anteprima under 30), 19 e 25 novembre. La prima si distingue per un timbro fresco e luminoso, anche se a tratti un poco esile; la seconda esibisce voce corposa e decisa, che proietta bene, e in grado di affrontare le non poche agilità che Donizetti le prescrive, soprattutto nello spumeggiante finale, nel quale viene richiamata la morale dell'opera, un susseguirsi di effetti speciali fino alla travolgente conclusione. Affianca l'orchestra e i solisti il Coro dell'Accademia Teatro alla Scala istruito da Salvo Sgrò.
Gianluca Falaschi, regista, scenografo e costumista, coadiuvato dal drammaturgo Mattia Palma, decide di adottare per l'opera un taglio fiabesco, con alcuni rimandi al cinema, al théâtre de boulevard e al varietà anni Cinquanta-Sessanta. Si tratta di una trama burrascosa; la coerenza, a ben vedere, non ne è il punto forte (Livio Aragona nel suo saggio del programma di sala rileva numerose incongruenze); ma non è questo il punto (neanche le avventure di Jack Sparrow sono coerenti o credibili fin in fondo): il punto è mettere in scena un romanzo d'avventure in musica: sorelle che si rincontrano, un innocente salvato in extremis come in una buona pièce au sauvetage che si rispetti, un cattivo che trama, un complice che si pente, il fascino di un'opera piratesca… manca soltanto il crollo della cisterna, come avviene nel vaudeville di de Pixiérécourt. Sembra quasi naturale la scelta di scene infantili, un po' alla Ugo Nespolo o Emanuele Luzzati: palme, onde e nuvole disegnati a tenui colori pastello, volutamente approssimativi, come rabberciate da un trovarobe all'ultimo, salvagenti appesi alla balaustra sullo sfondo, nei momenti più complessi della trama appositi cartelli con parole chiave, come a sottolineare che, sì, il tutto è rocambolesco, ma è anche finzione. Un kitsch manierato, un musical immaginifico un po' irreale, un po' tropicale, che non ostacola ma anzi serve l'azione teatrale; vista la tipologia di opera, non ci si deve neanche scandalizzare troppo di un adattamento a tratti incoerente, attualizzato, e pazienza se talvolta le coreografie di Andrea Pizzalis indulgono in facilonerie ridanciane, ancheggiamenti o allusioni, peraltro discrete: come si diceva, la coerenza non fa parte di quest'opera, e una buona volta si può anche andare a teatro per divertirsi. Simile spirito guidava Francesco Esposito quando allestì nel 2013/14 Il furioso all'isola di San Domingo, guarda caso altro dramma semiserio del Bergamasco. I costumi hanno una chiave di lettura intelligente: anche qui, niente di filologico, qualcosa anzi del tutto fuori luogo; il trucco, si diceva, è volutamente pesante, marcatissimo, cerone, nasi e menti caricaturali e aguzzi, vestiti e parrucche sgargianti (i truccatori sono allievi del Corso di Special Make-up dell'Accademia Teatro alla Scala), tolto il claudicante Don Alvaro, con bombetta e bastone alla Charlot di Charlie Chaplin, l'affettato Don Ramiro in frac, come il Gastone di Petrolini, e i marinai, vestiti come i sailors americani (Braccio di Ferro, per intenderci), danzatrici hawaiane (a Maiorca?) e soubrette da avanspettacolo in luccicanti costumini azzurri. Ma quando si ritrovano tutti nella cisterna e l'opera inizia a volgere a conclusione, eccoli spogliarsi dei posticci e interagire un po' più da persone e un po' meno da personaggi. Suggestioni quasi pirandelliane, a volerle vedere, più che chiavi di lettura vere e proprie, ma sufficienti a cattivare la simpatia per lo meno dello scrivente.
Con la recita del 4 dicembre, di cui si è riferito, si spengono i riflettori sul Donizetti Opera Festival 2022, che dà appuntamento l'anno prossimo con Il diluvio universale, Lucie de Lammermoor (la versione francese scritta per il Théâtre de la Renaissance di Parigi) e Alfredo il grande per il progetto “Donizetti 200”. Al prossimo anno!
Christian Speranza
14/12/2022
Le foto del servizio sono di Gianfranco Rota.
|