RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

Per l'amor di… Bartók!

La linea tracciata dal dodicesimo concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, la felice idea di abbinare composizioni di ascolto raro nella prima parte e composizioni di più larga popolarità nella seconda, è stata riproposta nel tredicesimo, il 30 e 31 gennaio 2014; trait d'union è stato Béla Bartók, di cui la scorsa settimana erano stati eseguiti i Quattro pezzi per orchestra Op. 12: ma, se i Quattro pezzi mancavano all'appello dal 1974, il Concerto per violino e orchestra n°1 non era mai stato eseguito! È stata infatti una prima esecuzione RAI a Torino, che ha visto impegnati Frank Peter Zimmermann, violinista classe 1965, e Juraj Valcuha, direttore principale dell'OSN. Prende avvio il concerto: l'orchestra tace; violino solista, accordo arpeggiato di re maggiore VII: una frase musicale semplicissima, ma carica di tensione, pregna di significati, come un “ti amo” sussurrato a fior di labbra, di sapore antico, che ricorda l'inizio del thema regium di Bach; poi, ecco la spalla dei violini primi, poi il secondo violino primo, poi la spalla dei violini secondi, come se non esistesse né il pubblico, né il resto dell'orchestra (“Mais les enfants qui s'aiment/Ne sont là pour personne ”, avrebbe detto Prévert). E, sapendo che questo primo concerto per violino nacque dall'amore del compositore per la violinista ungherese Stefi Geyer, si può ben comprendere il dialogo intimo di questi primi strumenti, cui presto se ne aggiungono altri. L'attacco di Zimmermann è raccolto, quasi orante, con un vibrato ricco e sonoro. Anche quando la partitura richiede più aggressività – è pur sempre Bartók – il suono è continuamente portato, parlante, e le agilità vengono affrontate con piglio deciso e sobrio. Da parte sua, l'orchestra ha il merito di rimanere molto compatta, aderente alla funzione di supportare il solista, ma anche di dialogare con lui, soprattutto verso la conclusione del concerto, quando le impennate liriche mettono alla prova l'equilibrio delle forze orchestrali.

Tanta parte ha anche il timbro dello strumento suonato da Zimmermann, uno Stradivari del 1711 conosciuto col nome di Lady Inchiquin, appartenuto, sembra, a Friedrich “Fritz” Kreisler. Di recente, però, l'eminente studiosa di liutistica Alessandra Barabaschi ha messo in discussione questo dato. Come spiega nel suo libro Antonio Stradivari (quattro volumi, 2010, Jost Thöne editore, ISBN 9783000316449), Kreisler ha posseduto molti Stradivari, tra cui l'Earl of Plymouth del 1711, detto anche Kreisler: il passato di questo violino è stato, purtroppo, spesso confuso con quello di altri due Stradivari coevi, il Parke e, appunto, il Lady Inchiquin. È possibile che Kreisler abbia avuto occasione di suonare il Lady Inchiquin (per esempio in Inghilterra nel 1904, quando fu premiato dalla Royal Philarmonic Society con la medaglia d'oro), ma pare assai improbabile che lo abbia posseduto, perché risulta essere stato ininterrottamente di proprietà della famiglia di Lady Ethel Jane Forster, moglie del 15° barone Inchiquin, dal 1889 al 1948, per poi passare nelle mani di un collezionista svizzero e “riemergere” sul mercato solo alla fine degli anni ‘60.

Se il concerto di Bartók può risultare ai primi ascolti di difficile godibilità, Tzigane di Ravel, il secondo pezzo in programma, cattura di più il pubblico in forza di una maggiore cantabilità dei temi. Questa rapsodia per violino e orchestra su temi zingareschi (e spagnoleggianti), che Ravel terminò di comporre nel 1924 per la violinista Jelly d'Arányi, inizia con un lungo assolo del solista senza accompagnamento (58 battute), che riassume tutte le possibili difficoltà della scrittura violinistica. Ma nonostante ciò, quella di Zimmermann è una Tzigane affrontata di petto, con ostentata sicurezza, come quando Cziffra affrontava al pianoforte le pagine più complesse di Liszt senza mai abbandonare il sorriso. Una mise total black e la compostezza del gesto facevano pensare ad un Benedetti Michelangeli del violino. Il piglio nervoso, improvvisativo, veramente “rapsodico” dell'attacco è magistrale. La prima nota, la più grave dell'estensione, sprigiona calore, un calore quasi da viola più che da violino, e poi, via, passando per velocissimi pizzicati di sinistro, doppie corde, armonici: tutto scivola via con disinvoltura. È interessante che l'arpa (Margherita Bassani, prima arpa dell'OSN) venga sistemata accanto al solista, come per un doppio concerto per violino e arpa: un'attenzione lodevole alla grande importanza accordata da Ravel a questo strumento che contribuisce, col pizzicato del violino, a dare l'idea di una chitarra andalusa, come lodevole è la cura riservata da Valcuha ai particolari dell'orchestrazione raveliana, raffinata e mai scontata. Coinvolgente la stretta finale, che, partendo da un ritenuto particolarmente accentuato, si divincola fino a liberare tutta l'incontenibile joie de vivre in un'accelerazione collettiva di strumenti e di cuori. Alle ovazioni tributate dal pubblico, Zimmermann concede un encore, il Preludio dalla Suite in mi maggiore BWV 1006 di Bach: un brano particolare, arrangiato successivamente da Bach per organo solista e orchestra quale Sinfonia d'apertura alla cantata Wir danken dir, BWV 29, in cui due voci si alternano creando, con artifizio barocco, l'illusione di un duetto di violini.

Degna conclusione della serata, la Settima Sinfonia di Beethoven. È bastato cogliere, durante l'intervallo, un frammento di conversazione: «– E stasera perché sei venuta? – Per la Settima –» per capire quanto questo brano portentoso abbia la capacità di catalizzare l'attenzione di una serata e di far decidere se andare o no ad un concerto. E ancora una volta l'OSN, sotto Valcuha non ha deluso. L'orchestra attacca con un volume sonoro ed una maestosità davvero consone alle note di Beethoven, a quell'introduzione solenne che come un sipario si leva su una sinfonia in cui l'apollineo e il dionisiaco nietzschiani sembrano darsi la mano. È una lettura dalle tinte drammatiche, quella del primo movimento, poderosa, “michelangiolesca”. A giudizio dello scrivente il Vivace è stato interpretato leggermente lento, ma è un dettaglio; quello che stupisce, invece, è la mancata ripetizione dell'esposizione, prevista in partitura e non giustificabile da motivi di durata: se in altri casi, come nella Seconda Sinfonia di Rachmaninov, il ritornello dell'esposizione allunga realmente di molto la durata del movimento – e infatti poche incisioni lo eseguono – in questo caso non si comprende il motivo della soppressione di qualche minuto appena di musica. L'Allegretto scorre più velocemente rispetto ad una direzione prevedibile, dando sempre rilievo alla pulsazione continua che lo caratterizza – dattilo e spondeo. Anni fa Riccardo Muti faceva notare che, nella Settima, Beethoven rinuncia ad un vero e proprio movimento lento in seconda posizione, optando per un Allegretto, che però svolge ugualmente la funzione – più psicologica che musicale, in questo caso – di stasi, di “momento in cui riprendere fiato” dopo l'abbuffata festosa del Vivace (funzione tipica di un secondo movimento di sinfonia); e Gianandrea Noseda, in occasione dell'integrale delle sinfonie di Beethoven nel 2011, affermava che le sinfonie di Beethoven vanno eseguite con urgenza: non di fretta, ma con urgenza. È forse in questo spirito che Valcuha sospinge l'orchestra senza mai farla adagiare, senza mai farla rassomigliare ad un corteo funebre: una lettura di empito romantico, con un crescendo iniziale che si decide a “crescere” solo verso l'acme, ma con una chiara distinzione delle linee ritmiche e melodiche nel fortissimo a piena orchestra (cosa non sempre facile da ottenere: e chi ha dimestichezza con la pluralità di linee simultanee di alcune sinfonie mahleriane lo sa bene). Lo Scherzo, molto corrivo, ha solo il lieve difetto di far emergere un po' troppo le trombe nelle sezioni lente: un difetto comune a molte esecuzioni, come quella di recente ascoltata al Lingotto sotto Pletnev (22/01/2014). Lieve delusione per (ancora) la soppressione di un ritornello nell'ultimo movimento, diretto poco più lentamente del previsto, ma comunque in grado di suscitare emozioni.

Christian Speranza

10/2/2014

Le foto del servizio sono di Michele Rutigliano.