Barcellona
Sondra Radvanovsky in concerto
Un recital di Sondra Radvanovsky, che ha qui una grande quantità di ‘fans', era l'ultima attività lirica del Liceu nel 2016. Accompagnata molto discretamente al pianoforte da Anthony Maloni, la cantante, che tra altre spiegazioni ci faceva sapere che era diventata cittadina del Canada (brava), presentava un programma tutto suo in un ordine a dir poco curioso. Incominciava da Donizetti, con l'aria di sortita della protagonista di Maria Stuarda, dove la cabaletta non era facilissima, per passare a Vivaldi, con ‘Sposa son disperata' da Bajazet, aggiunta al programma all'ultimo minuto a dispetto di un raffreddore, ma in una versione noiosa, con i trilli appena accennati, che non contribuiva certo a capire cosa può dare una voce enorme come la sua al barocco. Seguivano poi quattro canzoni di Racmaninov, notissime ma oimè senza alcuna espressività, e la grande aria di Chimène da Le Cid di Massenet, che, pur non trattandosi di un Falcon o di un mezzo acuto, era il momento migliore della prima parte del concerto, che offriva in omaggio alla sua nuova patria.
Nella seconda parte, dopo tre canzoni di Bellini, dove l'interpretazione migliore era quella della seconda, ‘La ricordanza', praticamente ‘O rendetemi la speme' da I puritani con un altro testo, e per ricordare suo padre – il soprano ama intrattenersi con il pubblico in un inglese molto più comprensibile che quando canta in qualsiasi lingua – il canto alla luna dalla Rusalka di Dvorak, cantata e interpretata bene ma senza far dimenticare altre versioni del pezzo, anche recentissime, decisamente più interessanti. Finiva con tre delle ‘Old American Songs' di Copland (la migliore, ma poco emotiva, la notissima ‘At the river') e una versione molto buona – tranne che per le frasi che interessano la zona centrale della voce, sorda e debole – de ‘La mamma morta' da Andrea Chénier di Giordano. Nonostante il raffreddore di cui sopra sfoggiava in ogni momento i suoi acuti sempre un po' metallici, i suoi riuscitissimi pianissimi, un grave opaco ed artefatto e un fraseggio scontato. Il momento migliore arrivava con ‘Io son l'umile ancella' dall' Adriana Lecouvreur di Cilea, come primo numero fuori programma. Cantava ancora un'aria di opera, la sua nota versione, buona ma poco spontanea, del ‘Vissi d'arte' pucciniano, e anche due canzoni che sono venute a dimostrare che il suo centro è la parte più vulnerabile del suo strumento: una versione assolutamente prescindibile, se non per l'acuto finale, che suonò così assolutamente fuori posto, di ‘I could have danced all night' da My fair Lady di Löwe e una canzone ‘di Natale' di quelle che era solita cantare (molto meglio) Deanna Durbin, ‘Behind the lights of home', di Walter Jurmann, la cui vedova pare che abbia molto insistito perchè a sua volta la cantasse la Radvanovsky.
Jorge Binaghi
26/12/2016
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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