Modernità di Puccini
La prassi di accoppiare un tassello del Trittico pucciniano a un'opera breve di altro autore non è nuova, e deriva dalla sostanziale autonomia drammaturgica dei singoli pannelli concepiti dal compositore lucchese. La peculiarità del progetto proposto dal Teatro dell'Opera della Capitale, giunto alla sua seconda declinazione, risiede nella scoperta volontà di evidenziare il legame fra il teatro pucciniano e il coevo panorama europeo. Ecco dunque Gianni Schicchi, in dialogo fattivo con L'heure espagnole di Ravel. Il regista Ersan Mondtag, artista tedesco di origini turche attualmente in auge, impiega il medesimo impianto scenografico per stabilire una dialettica fra i due titoli. Nel Gianni Schicchi ci troviamo di fronte lo scalone di un palazzo nobiliare in decadenza, sovrastato da un viso mostruoso a bocca spalancata che ricorda quello del sacro bosco di Bomarzo, mentre in Ravel lo stesso volto, contornato da proiezioni di un'era primordiale, costellate da vulcani, dinosauri e dischi volanti insieme a uomini in eterno pellegrinaggio, appare più come un idolo inca testimone di una civiltà estinta. La riflessione, truccata da commedia nera, si concentra sul tempo e sui destini dell'umanità. Nel Gianni Schicchi il sipario si leva nel silenzio, appena turbato dalle strida dei volatili. I parenti del moribondo Buoso Donati appaiono come larve di un mondo declinante e destinato a estinguersi.
Nell'heure espagnole le proiezioni di Luis August Krawen aprono squarci nel passato più remoto e in un indecifrabile futuro apocalittico. Se l'idea unificante è quella di un monito rivolto a un'umanità gretta e in decadenza, la sua realizzazione è piuttosto monocroma. La regia non sfugge a una certa routine, pur risultando efficace nel tratteggiare gli elementi comici dello Schicchi all'interno di una visione sostanzialmente tenebrosa e amara. A dire il vero, non è facile fornire sostanza registica a figure che, nel caso dello Schicchi, sembrano derivare dalla commedia dell'arte, mentre in Ravel indulgono a uno spiccato gusto per i congegni meccanici e per gli automi. I protagonisti appaiono abbigliati come in una sceneggiatura vergata dalla fervida fantasia di Tim Burton, secondo un registro grottesco . Nel complesso manca una cifra che riesca a tessere una trama di segrete corrispondenze fra le due composizioni. Dal punto di vista direttoriale Mariotti vuole dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, la modernità e la sapienza orchestrale di Puccini. La sua lettura dello Schicchi è avvolta in vesti preziose, smussata nelle asprezze più ruvide. Analogamente raffinata l'interpretazione di Ravel, reso con un nitore strumentale al quale avrebbe giovato maggiore densità coloristica. Riguardo i cast, Carlo Lepore è uno Schicchi rifinito e completamente calato nel personaggio, Vuvu Mpofu è una Lauretta sensibile e lirica e Sonia Ganassi dona spessore ironico alla Zita. Buoni gli altri. Ad alcuni era affidato un ruolo in entrambe le opere; molto bravo, ad esempio, Nicola Ulivieri come Simone e Don Iñigo Gomez, mentre Giovanni Sala si fa apprezzare di più come Gonzalve che non quale Rinuccio. Riguardo L'heure espagnole citiamo ancora la bravissima Concepción di Karine Deshayes, l'efficace Torquemada di Ya-Chung Huang e il bonario Ramiro di Markus Werba, come sempre ben cantato. Sala piena e pubblico plaudente. Riccardo Cenci
13/2/2024
Le foto del servizio sono di Fabrizio Sansoni.
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