La fille du régiment
al Comunale di Bologna
Ripreso al Teatro Comunale l'allestimento ideato da Emilio Sagi nel 2004 dell'opera La Fille du Régiment di Gaetano Donizetti, uno dei titoli "francesi" del bergamasco mai usciti dal repertorio. La prima rappresentazione assoluta dell'opera fu a Parigi al Théâtre de l'Opéra Comique l'11 febbraio 1840, dunque in versione tipica con dialoghi parlati. Donizetti iniziò a collaborare con i teatri della capitale francese intorno alla fine del 1838. Alcuni titoli erano già stati rappresentati al Théâtre des Italien, mentre all'Opéra fu eseguito Les Martyrs, rifacimento di Poliuto, ed era naturale che fosse richiesta una nuova opera e la prima fu appunto la Fille, cui seguirono anche La Favorite, Dom Sebastien e altri che in più casi non andarono in scena. La genialità di Donizetti è immediatamente riconoscibile già dalle prime pagine della partitura, freschezza musicale, toni poetici paralleli a passi marziali militari. L'opera può essere collocata nella tradizione della commedia larmoyante, anche semiseria, nella quale il gusto del recitativo parlato dona una peculiare tinta pressoché comica, le arie invece rispecchiano per ciascuno dei due protagonisti sentimenti e situazioni differenti, si pensi ai momenti patetici di "Il faut partir" e "Pour rapprocher de Marie", in alternanza a "Chacun le sait" e a "Mes amis", quest'ultimo quasi un pezzo di bravura. Anche se il debutto non fu un trionfo, l'opera conquistò in seguito i parigini i quali compresero il perfetto stile donizettiano che si evolveva al gusto locale, e le repliche si moltiplicarono nelle stagioni seguenti. Stando ai pezzi che ebbero maggior successo, è doveroso citare il terzetto "Tous le trois réunis", che emerge per una scrittura melodica e freschissima.
Lo spettacolo di Emilio Sagi resta ancora una valida proposta per un'impostazione vivace e allo stesso tempo elegante. Non è penalizzante lo spostamento d'epoca, il reggimento è ora americano, quegli stessi soldati che liberarono la Francia dall'occupazione tedesca, dunque divise color cachi e baschi infilati sulle spalline. Il primo atto si svolge in una di locanda di campagna, il secondo in una ricca villa nobile, bene gli arredi e scontati i costumi, poiché non c'è da creare molto quando si tratta di divise militari. L'unico personaggio ad avere un personale beneficio è la Marchesa che può sfoggiare splendide mise di moda anni '40, il tutto creato dalla Sartoria del Comunale da un'idea originale di Julio Galan, il quale è stato anche scenografo. Il racconto è lineare, corretto e seppur aggiornato, senza inserimenti insulsi come solitamente capita. La regia, in quest'occasione ripresa da Valentina Brunetti, ha avuto una felice mano nel creare atmosfere oniriche tra i due innamorati, mentre nelle scene comiche o brillanti non è mai caduta nella macchietta ma dosando il giusto equilibrio del sorriso. Inoltre ha dato occasione a ruoli solitamente figuranti (la pianista, e il personale di servizio della Marchesa), peccato si sia lasciata sfuggire l'occasione creare un qualcosa "in più" per il ruolo della Duchessa, considerato quale artista aveva a disposizione.
Di ottima fattura anche il versante musicale. A cominciare dalla buona direzione di Yves Abel, non nuovo a questo repertorio, che ha saputo esprimere al meglio lo stile dell'opéra-comique, accompagnando con precisione i solisti e attuando un gioco di colori di rilevante espressività. A essere pignoli, l'unica ammenda che possiamo attribuirgli era una leggera carenza di brio, il quale a mio avviso andava notevolmente rafforzato. Sempre professionale l'Orchestra del Comunale, anche se nell'ouverture gli ottoni non hanno brillato. Ottimo il Coro preparato da Andrea Faidutti.
Protagonista era la giovane Hasmik Torosyan, la quale sfoggiava un registro acuto saldissimo e squillante ma non era meno puntuale nei momenti lirici-patetici nei quali spiegava una voce, non bellissima nel timbro, ma assai duttile e sempre intonata. Maxim Mironov, Tonio, era debuttante nel ruolo e ha avuto un successo personale meritatissimo. Il suo personaggio, vuoi anche per il physique du rôle e il biondo capello, incarnava l'innamorato estasiato perdutamente "cotto". Il gusto della recitazione, sempre controllata e brillante, e la valida presenza ne favorivano un'interpretazione davvero rilevante. Il canto era di una precisione unica, il tenore ha eseguito la celebre aria dei nove do con una facilità e spavalderia impressionante e senza voler strafare come spesso accade ad altri, semplicemente cantando con gusto, fraseggio prefetto, buon utilizzo dei colori, e qualche cadenza personale di grande effetto (aria del secondo atto).
Bonario e simpatico il Sulpice di Federico Longhi, puntuale nel canto quanto rilevante scenicamente. Claudia Marchi, Marchesa di Barkenfield, creava un mirabile personaggio divertente e caratteristico, trovando sempre la giusta misura e ricavandosi un assolo ben eseguito nel primo atto. Impagabile la professionalità di Nicolò Ceriani, Hortensius, qui ancora più incisivo con una recitazione divertentissima. Non meno interessante era anche il giovane Tommaso Caramia, caporale, che vorremmo sentire in ruoli più ampi. Infine, ma non per ultima, Daniela Mazzucato, Duchessa di Crakentorp, la cui breve apparizione è stata di grande classe e indubbio fascino, anche se avrebbe meritato un cameo più sostanzioso con un pezzo solistico, prassi riservata a grandi artiste che si sono cimentate con questo spassoso ruolo.
Al termine un successo trionfale per tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
27/11/2018 Le foto del servizio sono di Rocco Casalucci.
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