Barcellona
Un viaggio verso dove?
Proprio durante le tormentose procelle politiche di questo settembre nella Catalogna il Liceu incominciava la nuova stagione, o piuttosto riprendeva l'anteriore, dato che l'inaugurazione ‘ufficiale' è prevista per il prossimo 7 ottobre con Un ballo in maschera, con una nuova ripresa de Il viaggio a Reims rossiniano, la cui prima ebbe luogo qui nel 2003. Non si capisce troppo neanche per quale ragione non si sia tornato ad adoperare l'allestimento, lodato all'epoca (io non l'ho visto), del catalano Sergi Belbel e si sia scelto invece di ‘coprodurre' insieme al Real di Madrid e al Festival de Pesaro l'arcinota versione che ogni estate serve da spettacolo di chiusura dell'Accademia pesarese con gli allievi più preparati, per la regia di Emilio Sagi, una produzione, come si sa, semplice, economica, discretamente divertente, ma comunque più atta ad un avvenimento scolastico che a una recita in un teatro di grandi dimensioni e di grande tradizione belcantistica quale il Liceu. Si presentavano, come al solito, due compagnie in alternanza, con voci emergenti e altre già ben note. Al suo debutto in buca Giacomo Sagripanti, un giovane maestro che mi aveva fatto una forte impressione a Parigi quando fu costretto a prendere in mano il Werther proprio all'ultima ora. Qui invece non mi è sembrato così felice: troppi contrasti esagerati, troppi forte , un ritmo alquanto meccanico con una compagine che si mostrava corretta ma non brillante. Il ruolo del coro, come capita anche a Pesaro, veniva ricoperto dai comprimari e da alcuni dei solisti principali. Tra i nomi ormai noti dappertutto vanno citati in primis sia Irina Lungu (Corinna) che Carlos Chausson (Barone di Trombonok, l'ultimo nuovo ruolo che il veterano basso buffo ha accettato di aggiungere al suo lungo elenco), mentre Roberto Tagliavini (Lord Sidney) doveva prendere il posto del collega malato fra due delle sue recite e lo faceva bene, ma credo che i ruoli ‘seri' gli stiano meglio. Tra gli altri spiccavano il mezzosoprano Marina Viotti (Marchesa Melibea) e il soprano Leonor Bonilla (Contessa di Folleville). I due tenori, Taylor Stayton (Cavalier Belfiore) e Levy Sekgapane (Conte di Libenskof), erano senz'altro corretti ma non di più: il primo ha una voce più bella ma meno estesa e il secondo presenta qualche interesse solo nei sovracuti. Don Profondo, già dal nome, dovrebbe essere un basso e non un baritono chiaro come Pedro Quiralte, simpatico e agile, ma un po' in difficoltà nella grande aria ‘Medaglie incomparabili' che piuttosto veniva recitata anzichè cantata. Voce di volume e con tanto di acuto, un po' acidulo per la verità), Marigona Oerkezi non faceva troppa impressione nei panni di Madama Cortese. Un bel successo si ritagliava Manel Esteve (Don Alvaro) e tra gli altri si possono fare i nomi del basso Alessio Cacciamani (Don Prudenzio, il medico) e del tenore Beñat Egiarte (Zefirino/Gelsomino). Il baritono Carles Pachón, vincitore di un premio qui stesso all'ultimo concorso Viñas e allora molto festeggiato da tutti, non aveva troppa occasione di brillare come il maggiordomo Antonio.
Il pubblico che non riempiva la sala applaudiva con cortesia ma non troppo convinto. Nell'ultima recita (20 ottobre), prima dell'inizio si faceva ondeggiare una bandiera catalana indipendentista e buona parte degli astanti si univa con applausi alla canzone tradizionale catalana di resistenza Els segadors (I mietitori). Il Teatro dedicava le sette recite alla memoria delle vittime dei recenti attentati nella Catalogna.
Jorge Binaghi
23/9/2017
Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.
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