Rigoletto
al Teatro Comunale di Bologna
È stata la mano di Alessio Pizzech ad affrontare una lettura molto cruda e forte della celebre opera Rigoletto di Giuseppe Verdi, in programma al Teatro Comunale quale penultimo titolo della stagione 2016. Durante il preludio del I atto c'è un uomo, Rigoletto, con mantello che scruta un affresco (riproduzione de “La caduta dei Giganti” dall'originale in Palazzo Te a Mantova) nel quale si vedono volti stralunati e occhi diabolici, bocche che addentano corpi. Un uomo solo, piangente e disperato col suo senso di colpa. Ecco Rigoletto! Il buffone di corte, una corte corrotta e totalmente amorale dedita alla lussuria, è vittima del suo padrone dovendo assistere a questa visione ma ancora più rilevante è il suo essere buffone che deve servire il duca per sopravvivere. Inoltre, è vittima del suo proprio corpo che deve esibire per il divertimento altrui, ma è anche il suo essere umano, il suo modo di vivere sbagliato e orrendo. L'effetto dirompente della regia è che il buffone di corte si spoglia delle vesti da “lavoro” indossando delle calze a rete, un giubbotto di pelle nero, scarpe da donna con tacco a spillo, il suo corpo è così umiliato e deriso, non solo per la gobba. È una violenza al maschile su cui punta il regista, le cortigiane sono alla mercé del potere degli uomini, indotte a selvagge orge come meri oggetti. Ecco perché Rigoletto in abiti borghesi con tanto di soprabito e valigia da lavoro si reca nella sua abitazione ove “costudisce” Gilda, sua figlia, rinchiusa come una bambola in una vetrina di oggetti preziosi. Trattasi del secondo dramma del protagonista, una figlia adorata, troppo, tanto da essere rinchiusa in una claustrofobica quanto ingioiellata scatola. Il padre nasconde con cura il suo essere, a lei ha dato tutto quello che poteva, ma soprattutto l'ha tenuta isolata dalla realtà del mondo che lui stesso conosce e giudica violento, ma la ragazza ormai è insofferente per non dire esausta di questo isolamento e la prima occasione sarà quella fatale.
Attraverso questa drammaturgia chiara, Pizzech realizza un lavoro di grande fattura, scava negli animi dei singoli personaggi e trova non nuova ma diversa luce senza andare contro quanto narrato nel libretto. Ovvio che a molti puristi un linguaggio così forte non piaccia, ma pur nel rispetto dei gusti, se per un attimo analizzassero con occhio diverso quello che si sta raccontando, converrebbero che è la storia ispirata dal dramma di Victor Hugo. Dai bagliori accecanti della corte, capeggiata dal lascivo Duca, si passa al cupo e beffardo finale, davanti a un battello-casa di malaffare dei loschi fratello e sorella Sparafucile e Maddalena, la maledizione piomba sul protagonista ancora più drammatica, perché isolata nelle nebbie del Mincio tanto fosche quanto discontinue, non accettata e forse inadeguata era quella di Rigoletto.
A questa lettura interessante ma di buon teatro psicologico hanno contribuito con rilevanza Davide Amadei, scenografo, che disegna elementi chiari ed essenziali, e Claudia Ricciotti, costumista, che cerca attraverso colori sgargianti per la corte, ma neri per gli uomini di potere, un'atemporalità della vicenda che giustamente si adopera in ogni epoca.
Alla recita da me ascoltata e vista ci sono state delle variazioni rispetto la locandina prevista. Il baritono Vladimir Stoyanov sostituiva l'indisposto Marco Caria in Rigoletto, e Giuseppe Iori subentrava ad Antonio di Matteo nel ruolo di Sparafucile. Tuttavia, già dall'inizio dell'atto Stoyanov era notevolmente sottotono rispetto alle sue qualità e durante il duetto con Gilda ha dovuto interrompere, chiedendo scusa al direttore e al pubblico, perché voleva abbandonare il palcoscenico. Ha tentato di ultimare la sua esiiiiibizione ma poi è stato sostituito in corsa, dal II atto, da David Cecconi, il quale la sera prima aveva cantato la sua recita. Su Stoyanov non è possibile esprimere giudizi, anche se nel giro di un mese due incidenti analoghi dovrebbero fare riflettere. Quanto a Cecconi devo rilevare che ha un ottimo strumento vocale, musicale, sufficientemente omogeneo e calibrato nel colore. È un po' carente nell'accento e in qualche acuto, ma considerata la situazione credo non si possa più di tanto rimarcare e comunque avrà modo di rodare ancora il personaggio in seguito.
Molto brava Irina Lungu nel ruolo di Gilda, alla quale dona uno spessore drammatico incisivo in virtù di una vocalità piena e precisa nel virtuosismo, senza scivolare nella meccanicità di taluni sopranini di coloratura.
Il Duca di Mantova di Celso Albelo svettava vocalmente solo nel settore acuto, fermo, raggiante e preciso. Perché tagliare il da capo della cabaletta? La zona centrale è invece sempre limitata e sovente gli attacchi, anche a mezzavoce, artefatti o poco nitidi. Inoltre, scenicamente il personaggio è piuttosto carente.
Era invece in ottima forma Enrico Iori, che non ascoltavo da qualche tempo. Bel timbro pastoso, preciso nell'emissione e ben caratterizzato nel truce personaggio. Meno significativa la Maddalena di Rossana Rinaldi, la quale possiede una voce interessante ma in quest'occasione poco incisiva poiché appariva solo se forzava nel grave. Professionale il Monterone di Andra Patucelli anche se non proprio scolpito l'accento.
Molto bravi gli altri interpreti, a cominciare dal Marullo di Raffaele Pisani e poi in sequenza Pietro Picone (Matteo Borsa), Beste Kalender (Giovanna), Hupo Laporte (Conte di Ceprano) e Marinna Mennitti (Contessa di Ceprano e Paggio).
La direzione di Renato Palumbo era alterna con momenti di grande drammaticità e tempi vivi con altri troppo lenti e una sommaria slegatura tra buca e palcoscenico. Tuttavia per la situazione sopra descritta ha saputo portare a termine la recita con molto onore.
Il Coro del Comunale, istruito da Andrea Faidutti, ha reso una valente apporto come spesso dimostrato nel corso della stagione. Lunghi e calorosi applausi al termine a tutti gli interpreti.
Lukas Franceschini
23/11/2016
Le foto del servizio sono di Roco Casaluci – Teatro Comunale di Bologna.
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