Rigoletto
al Teatro Filarmonico di Verona
Rigoletto è il terzo titolo della stagione al Teatro Filarmonico, eseguita in chiave tradizionale, tale da non lasciare traccia ma passare per ordinaria routine. L'infelice spettacolo di Arnaud Bernard, creato per la Fondazione Arena nel 2011, è stato riproposto senza modifiche anche minime che avrebbero reso un'idea di partenza anche suggestiva. Invece ci ritroviamo nel claustrofobico gabinetto anatomico e biblioteca circolare del Duca, il quale è intento in esperimenti umani e si potrebbe ipotizzare che il buffone di corte sia una sua creazione. In tale impostazione scenografica fissa di Alessandro Camera, che ricorda la Mantova cinquecentesca, trovano posto anche una sorta di tempietto (casa di Rigoletto) e un barcone nel III atto che funge da locanda di Sparafucile. Le libertà registiche non si contano, scene di stupro, urla, schiamazzi, per definire il libertinaggio e i vizi privati che si celavano dietro il paravento di una corte brillante e sfarzosa tra le più rinomate d'Europa. Che il Duca non fosse un sant'uomo lo sapevamo, ma non così volgare e a titolo gratuito, lo stesso vale per i grezzi cortigiani. Idee confuse, sovente antiteatrali, hanno determinato una lettura noiosa e una visione troppo uniforme tra le meno riuscite che il Filarmonico ha proposto negli ultimi anni. E pensare che il titolo ha sostituito la prevista Manon di Jules Massenet, soppressa per difficile situazione economica della fondazione…. quanto rammarico! Fabrizio Maria Carminati dirigeva con solida esperienza, scavando nell'espressione dello spartito e riuscendo anche nel pertinente colore cupo e sinistro della vicenda. Avremmo preferito talvolta scatti più energici da una bacchetta che sa il fatto suo ma probabilmente tenuta a freno da un cast mediocre.
Leo An è stato un Rigoletto che potremmo definire di routine. Il cantante non ha tutte le qualità che il ruolo richiede, incerto nella dizione, limitato nel settore acuto, tuttavia almeno nelle intenzioni riesce a esibire un “gobbo” non più che corretto, dal fraseggio anche apprezzabile ma non costante.
La migliore della locandina era la Gilda di Mihaela Marcu, soprano, che potremmo affermare in continua ascesa. La sua Gilda non è fanciullesca ma donna coerente delle sue scelte. La voce è piena e melodica in tutte le zone, particolarmente apprezzabili sia il registro acuto sia il centro pieno e rotondo, cui aggiunge un sensibile e partecipe accento nella ricerca di colori e fraseggio di buona espressione.
Il giovane tenore Alessandro Scotto Di Luzio avrebbe le qualità vocali per interpretare un Duca di rilievo. Ha il phisique du rôle , la baldanza giovanile, e una voce adatta al ruolo, seppur non sempre squillante. Difetta a mio avviso, nel settore acuto (non esegue il da capo della cabaletta), e in un fraseggio ancora da rifinire. Il passaggio nel quartetto del III atto lo mette in difficoltà, ma dalla sua bisogna segnalare una linea di canto elegante e anche una certa enfasi passionale pertinente.
Appena sufficienti lo Sparafucile di Gianluca Breda e la Maddalena di Clarissa Leonardi, quest'ultima, a mio avviso, cantante più adatta ad altro repertorio. Definirei molto interessante il Marullo di Tommaso Barea, giovane cantante che speriamo di sentire in prossime occasioni, nella performance veronese non è possibile esimersi dal registrare una caricata interpretazione ma presumo per imposizioni registiche. Buone le prove di Alice Marini, Giovanna, e Antonello Ceron, Matteo Borsa.
Gli altri interpreti si ascrivono alla banale routine: Alessio Verna (Monterone), Romano Dal Zovo (Ceprano), Dario Giorgelé (usciere), mentre troppo esile e incerta è stata Francesca Martini (Contessa Ceprano/paggio).
Alla terza recita il teatro era esaurito in tutti i settori e il pubblico ha riservato a tutta la compagnia un caloroso successo al termine.
Lukas Franceschini
1/4/2016
Le foto del servizio sono di Ennevi - Arena di Verona.
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