RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


L'allegra famigliola

Ė opinione diffusa di buona parte del genere umano che la famiglia rappresenti una sorta di idilliaco paradiso, rifugio da tutti i mali inflitti al singolo dalla società, luogo compensatorio delle frustrazioni, delusioni, dei dolori e delle ingiustizie causate dai cosiddetti estranei, dai quali i parenti, ma più specificamente il padre e la madre, mettono continuamente in guardia la prole, con l'intento spesso mal celato di escludere da sé ogni forma di confronto dal mondo esterno, confronto gravido di conseguenze devastanti per la propria autostima.

Tale convincimento viene agevolato con immagini di famigliole felici, di nonni arzilli e quanto mai aperti alle idee moderne, di zie fresche di parrucchiere sempre intente a cucinare manicaretti (e non si capisce dove finiscano i piatti da lavare!), ma di converso molta letteratura, teatrale e non, si adopera tenacemente da ormai qualche secolo a demistificare tale immagine, svelando quale nido di vipere, per dirla con Mauriac, si celi sotto il protettivo rifugio della famiglia. Concetto del resto efficacemente espresso anche dall'adagio popolare amor di fratello amor di coltello

Tra gli intellettuali paladini dell'uomo, che hanno dedicato la loro vita alla programmatica demistificazione dei novelli idola tribus, la cui unica funzione pare sia quella di carcerare le energie umane, di fornire serial killer dei quali non c'è alcun bisogno e di procurare una serie infinita di malattie psicosomatiche, dalle pustole all'ulcera, dalla colite a subitanei rialzi pressori, va senza dubbio annoverato Harold Pinter, il cui teatro rappresenta una pietra miliare fra gli atti d'accusa alla malafede borghese, intesa come categoria esistenziale, che dalla fine dell'Ottocento ha dato vita a capolavori come Casa di bambola, Giorni felici, La professione della signora Warren, Finale di partita, Porte chiuse, Così è (se vi pare), e che ancor oggi rappresenta uno dei filoni più autentici del teatro contemporaneo, quando espresso da autori che riescano a fare del palcoscenico una tribuna di denuncia politica ma soprattutto sociale.

In tal senso, Il ritorno a casa di Harold Pinter, andato in scena al Verga di Catania il 4 marzo, ha rappresentato un vero colpo di maglio al rassicurante concetto di famiglia sbandierato da certa destra e da certo cattolicesimo, capaci di scandalizzarsi per i matrimoni gay, osannanti ai bambini con una mamma e un papà, idolatranti la famiglia come base e puntello della società, ma ciechi dinanzi alle violenze domestiche, agli incesti, ai neonati buttati nella spazzatura, visti tutt'al più come piccoli incidenti di percorso che poco o nulla turbano il rassicurante e costruttivo quadro d'insieme.

Sul palcoscenico, magistralmente diretti da Peter Stein che ha optato per una regia più naturalistica che grottesca, agevolando in tal modo un climax ascendente di stupore e sbigottimento nello spettatore, il vecchio Max, impersonato da Paolo Graziosi, si muoveva querulo e aggressivo, pervadendo della sua distorta ottica tutta la casa, reinventando continuamente i ricordi, capovolgendoli, in un gioco di specchi cui figli e cognato si adeguavano lentamente, foderando di menzogne e desideri repressi il nido, sino all'arrivo di Teddy, il maggiore dei figli, che ritorna per qualche giorno a casa portando con sé la moglie Ruth.

L'apparire della donna genera un movimento centripeto di tutti i maschi, risvegliando in maniera panica l'istinto sessuale: apostrofata come puttana dal vecchio, poi magnificata da tutti per le abilità di donna di casa, Ruth si presta al gioco, spingendolo e guidandolo sino all'amplesso con i due fratelli del marito, Lenny e Joey, che si svolge in un'atmosfera surreale sotto gli occhi del basito consorte. Il quale, da buon intellettuale ormai bell'e sdoganato nella sua impotenza e non incisività dalla seconda guerra mondiale, magari vorrebbe tornarsene a casa, alla sua cattedra di filosofia, con Ruth, facendo finta di niente, ma, e qui sta il vero e proprio pugno dello stomaco, il vecchio Max, con delittuosa incoscienza, enuncia un piano di condivisione familiare di Ruth: la donna diverrà la femmina di tutti i maschi della casa, che in cambio si prenderanno cura di lei. Ruth accetta, senza che il marito trovi niente da obiettare, e la scena si chiude sulla donna placidamente assisa in poltrona, coi maschi adoranti e sbavanti ai suoi piedi.

Quel che più ha colpito nella rappresentazioneè stata l'assoluta capacità di tutti gli attori, da Alessandro Averone a Elia Schilton, da Antonio Tintis ad Andrea Nicolini, sino alla bravissima Arianna Scommegna, di calarsi con estrema naturalezza nell'ipocrisia di fondo su cui si regge tutta la pièce: una famiglia in apparenza normale, ma dove di fatto nulla è ciò che sembra, dove è in opera un continuo, sottile gioco al massacro che di fatto ha l'unico scopo di mantenere questa normalità, ma anche tutto sommato di passare il tempo, dando agio al vecchio, maschilista, ma sempre lucido Max, di mantenere il suo potere di maschio dominante. Una famiglia ferina, basata su rapporti di forza inespressi, su complessi rapporti vittime-carnefice, dove l'arrivo di Ruth rappresenta la possibilità dell'ampliarsi del gioco: e tutto questo Paolo Graziosi ha reso palpabile con grande classe attoriale, in una recitazione serrata, attenta, senza sbavature, sorretta da una dizione egregia, pregio comune a tutta la compagnia, che ha consentito di partecipare al dramma nel suo compiersi, nel suo attuarsi, rendendo lo spettatore partecipe di un assurdo che a ben guardare potrebbe avere le caratteristiche di una realtà abbastanza diffusa, magari su basi diverse e più ipocrite.

Suggestive le scene di Ferdinand Woegerbauer, che con una scala a vista ha suddiviso in due settori, superiore e inferiore, il palcoscenico, consentendo una dinamicità di movimento e una profondità spaziale che rendevano ancor più centrale l'azione che si svolgeva in una informale e anonimo salotto anni '50, ricostruito nelle sue caratteristiche più tipiche.

Giuliana Cutore

7/3/2015