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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Roccella Jazz accende il sound-check

Gegè Telesforo con la sua Nu Joy Band.

(Roccella Jazz Festival)

I “Rumori mediterranei” che da oltre trent'anni hanno insegnato e segnato la storia della musica – jazz ma non solo, all'insegna dei più nobili e necessari “meticciati” etnici, culturali, filosofici, artistici – sembrano essere minacciati dall' “altro suono”. Sinistro, martellante, ripetitivo che al confronto un loop sembra una complicatissima polifonia. E il suono del taglio, della riduzione, della sospensione, del “congelamento” che metterebbe in pericolo l'armonia d'intenti e la melodia d'ingegni che, con buona pace di Umbria Jazz, hanno contraddistinto, negli anni, il Jazz Festival di Roccella Jonica.

E di “congelamento” si è trattato, di fatto, per l'edizione del 2013 – comunque in atto, dal 14 al 24 agosto, con equilibrismi immaginabili ma con artisti di vaglio ed un'integerrima, agguerrita équipe di lavoro – a proposito della figura del direttore artistico di sempre (ne prese in mano il timone a un anno dall'istituzione del Festival avvenuta nel 1980, e da allora non l'ha più abbandonato), Paolo Damiani. Accademico di Santa Cecilia, violoncellista, contrabbassista, compositore, Damiani ha deciso - per “la solita storia del pastore”, onorari mai onorati ad artisti, staff, direttore - di “congelare” (temporaneamente o no) i suoi rapporti con Roccella Jazz. In attesa di tempi migliori, si dice sempre così. Una pausa di riflessione, come, un tempo, sussurrava lui a lei, giusto un attimo prima di prendere la fuga da un fidanzamento troppo stretto. Solo che nel caso in ispecie, le intenzioni e gli stati d'animo sono esattamente sul versante opposto: accordi più che disaccordi e pace, “Shalom”, così come recita il titolo di questa edizione diretta da Paola Pinchera (veterana dell'Associazione Culturale Jonica, anima del Jazz Festival) e Vincenzo Staiano.

E Roccella Jazz accende il sound-check (tra nomi “consumati” – Noa, Sarah Jane Morris, Pieranunzi – e incursioni nel teatro: Alessandro Haber nei panni di Mark Chapman, l'assassino di John Lennon o Giuseppe Battiston che legge Pascoli sul canto di Gianmaria Testa) secondo il comandamento di the show must go on che sarà la cosa più stupida da dirsi e da farsi secondo Marco Presta del Ruggito del coniglio ma, in casi come questo, potrebbe risultare terapeutico se non nutriente.

Dunque jazz e in luoghi deputati quanto mai carichi d'ispirazione.

In testa, l'arioso, ventoso, maestoso Teatro Castello: qui, sotto la “rupella” divenuta poi “arocella” prima d'essere la definitiva Roccella - già preda succulenta dei Ruffo, generazione più, generazione meno – dove si tengono le soirée di punta del Jazz Festival.

Ma una menzione speciale merita anche l'ex Convento dei Minimi, l'Ordo Minimorum fondato da San Francesco di Paola, e chissà che i “paolotti”, tradizionalmente dediti alla predicazione e, soprattutto, al ministero della riconciliazione, non siano di buon auspicio hic et nunc. Ciò che passa il Convento sono le conversazioni-concerto al pomeriggio che si cangiano, nell'ultima settimana, in vere e proprie produzioni di teatro “jazzato” e cambiano pure indirizzo collocate nel più capiente Auditorium.

E, perché no, anche il Porto delle Grazie (nomen omen?) in cui, dopo le 21, le note “blu” (ma non solo) si confondono con gli odori caldi e speziati della pizzeria antistante che tappezza i quai roccelliani di tavolate lunghe almeno quanto la non lontana Salerno-Reggio Calabria.

Al Porto, ieri l'altro, due concerti “inanellati” (secondo i ritmi delle serate di Roccella Jazz) in cui il primo, Enrico Zanisi Trio e il suo Life variations (jazzisti giovani ma legati a sonorità e ipertrofie melodiche tuttaltro che nuove) faceva da giusto preludio generazionale al secondo ovvero il “navigato” Gegè Telesforo con la sua Nu Joy Band – Greta Panettieri (voce), L.A. Santoro (vocalist ventunenne in odore di Motown, a metà tra il Michael Jackson melodico ed un giovane Stevie Wonder), Domenico Sanna (piano acustico/elettrico), Giuseppe Bassi (contrabasso), Roberto Pistolesi (batteria).

Funambolo di vocalese “doc” (come dimenticarlo quando, ancora creatura di Arbore, era già in grado di contendergli microfoni e ascolti, in materia di jazz band, s'intende), Eugenio Roberto Antonio detto Gegè è in realtà un percussionista dell'ugola come nel divertente scat hip hop in anglo-foggiano. Ma in questa sede non disdegna né armonizzazioni alla Manhattan Transfer – e nella Panettieri trova una partner ineccepibile – né riletture dense di “rubati” di grandissimi hit come No woman no cry di Bob Marley né un bis che, a mo' di ouverture, diventa una sorta di medley con citazioni illustri come Sex machine di James Brown.

La musica disegna gli spazi ma gli spazi “fanno” musica, a Roccella Jazz.

Perciò la Chiesa della Madonna delle Grazie – prepotente, dominante, quasi un trono irraggiungibile nonostante la scalinata che conduce all'entrata non conti poi così tanti gradini – (ri)diventa alveo di vibrazioni inattese.

Doveva svolgersi nell'ex Convento dei Minimi l' “Invenzione a due voci e…” (jazz connection) con Casarano & Bardoscia ma l'attesa e graditissima visita del Ministro Kyenge (al CIE di Crotone ma poi ci ha raggiunto al Porto per una buona mezzora per assistere al concerto yiddish-jazz di Gabriele Coen) ha visto impraticabile la collocazione inizialmente prevista dal programma.

Sicché Roccella Festival, improvvisando secondo i dotti principi del jazz, ha deciso di trasferire uditorio e musicisti appunto sul sagrato della Chiesa sopra citata.

Una combinazione fiabesca e favolosa di “gatto e volpe” quella di Raffaele Casarano (sax alto e soprano, live electronics) e Marco Bardoscia (contrabbasso, live electronics) ma con ruoli interscambiabili: folle e indulgente alla melodia il sax del primo, “basso continuo” ma fraseggiatore sofisticato il secondo, entrambi sollecitati e spalleggiati dalle electronics che si traducono in una ghiotta addizione di poetiche trouvaille musicali che consente loro di spingersi indietro (una personale, sabbiosa versione di E se domani ) o affondare il piede nelle loro radici salentine come Li luci di lu mari che sarà prossimo hit nella Notte della Taranta, complice Giuliano Sangiorgi, voce dei Negramaro.

Il risultato è che lo spettacolare si ricongiunge con il suo etimo originale: “da vedere”. Con le orecchie, naturalmente.

Carmelita Celi

21/8/2013

La foto del servizio è di Pino Passarelli.