RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Rondine d'inverno… non fa primavera

Serata in grande spolvero quella che il 16 gennaio ha visto l'inaugurazione della Stagione lirica e di balletto 2018 del Bellini di Catania alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: il folto pubblico accorso, con più di un'ora di anticipo rispetto all'inizio dello spettacolo per permettere l'ordinato svolgersi delle operazioni di controllo e di sicurezza, ha trovato la via che conduce al teatro e la piazza antistante linde, ordinate, deodorate e ripulite da tutto ciò che potesse disturbare occhi, orecchie e olfatto come non le si vedeva da anni. Imponente, com'era naturale, il servizio d'ordine e la sorveglianza, in un clima generale di sicurezza che sarebbe bello vedere ogni giorno nella nostra città…

Il Presidente è giunto puntualissimo, accolto da calorosi applausi e da una generale standing ovation, cui ha risposto con l'algida compostezza istituzionale che lo caratterizza. Dopo il consueto Inno di Mameli, eseguito dall'orchestra e dal coro del nostro teatro, il sipario si è aperto su La Rondine di Giacomo Puccini, diretta dal maestro Gianluigi Gelmetti, che ne ha curato anche la regia. Scene e costumi erano di Pasquale Grossi, mentre maestro del coro era Gea Garatti Ansini.

Opera per molto tempo negletta, e confinata alla produzione minore di Puccini, La Rondine è stata oggetto di critiche anche devastanti, come quella di Rubens Tedeschi, che la giudicava «…l'episodio estremo del distacco pucciniano dalla realtà dei tempi», definendola «Ancora una Traviata. Peggio, ancora una Zazà» e concludendo con questa lapidaria definizione: «È significativo… che Puccini, dopo aver tentato con la Fanciulla del West la fuga dal puccinismo vi ricada a tal punto da restarne egli stesso disgustato; “la Rondine è una solenne porcheria”, sentenzia; e anche se la frase va riferita al soggetto, non è dir poco». Contro tale giudizio stanno però le frequenti ondate di entusiasmo sia di direttori d'orchestra che di parecchi studiosi, che hanno determinato una sorta di Rondine Renaissance in occasione del primo centenario dell'opera, caduto nel 2017, che ne ha segnato una generale ripresa in tutto il mondo, ripresa alla quale non ha voluto sottrarsi il nostro Teatro, affidandone per l'appunto la direzione a Gianluigi Gelmetti, uno dei principali estimatori contemporanei di tale opera.

Citando Victor De Sabata, che la definiva «la più raffinata partitura di Puccini», Gelmetti svolge nel suo articolo presente sul libretto di sala, dal titolo Sentire La Rondine, un'appassionata difesa di quest'opera, che non esita a definire un capolavoro particolarissimo, motivando il suo giudizio con un'ambiguità di fondo dell'opera, in grazia della quale Puccini, definito «un compositore amato principalmente per quello che non è», avrebbe rinunciato al proprio successo «con un gioco volto contro se stesso», dando vita a un «capolavoro che, se eseguito tradendo le sue indicazioni, muore». Dunque, se abbiamo ben capito questa conclusione, la particolarità de La Rondine starebbe nella sua ambiguità: riteniamo che Gelmetti voglia alludere all'ambiguità drammaturgica, dato che poche righe prima della chiusa parla esplicitamente di un'opera protofemminista, ma francamente, libretto alla mano, non si capisce dove stia questo femminismo. Non risulta che Magda, la protagonista, sia una donna provvista di mezzi di sostentamento propri, né tampoco di un mestiere che non sia quello più vecchio del mondo: mantenuta di un banchiere, svolge nel primo atto la sua esistenza in un bel salotto, dandosi arie da intellettuale annoiata in cerca di sensazioni forti e cercando un modo per passare il tempo dopo la serata d'obbligo con il facoltoso amante. Sistemata la faccenda (e la regia non fa nulla per sminuire quest'impressione di fondo, chiudendo la scena con un ambiguo, questo sì, abbraccio intimo fra Rambaldo e Magda), la donna se ne va da Bullier a finire la serata. Qui, sotto mentite spoglie che la faranno comunque riconoscere in seguito dall'amante ricco, seduce e si fa sedurre da Ruggero, una sorta di Alfredo post litteram, e come Violetta pianta baracca e burattini per andarsene in Costa Azzurra a svernare col nuovo amante, squattrinato e in attesa dei soldi di papà. Almeno Violetta pagava il soggiorno campestre di tasca propria… Il sipario si apre sul terzo atto: Magda e Ruggero, pieni di debiti, aspettano i soldi di papà, ma nel frattempo arriva la benedizione materna al matrimonio, con esplicito accenno a futuri bebè e auguri di sante nozze benedette dal cielo. A questo punto Magda capisce che il gioco non può più andare avanti e con una battuta d'effetto, Trionfando son passata tra la vergogna e l'oro!, ribadita con espressioni di strazio e sacrificio, pianta tutto e va via, probabilmente per tornare da Rambaldo, che le ha fatto sapere tramite Prunier, il poeta, di essere disposto a riprendersela e a saldare tutti i suoi debiti, più o meno come il barone Duphoul, duello con Alfredo escluso.

Ciò che emerge, dunque, libretto alla mano, è il ritratto di una donna leggera, che ha trovato nella sua bellezza il modo di campare agiatamente senza rimboccarsi le maniche, e che alla sola idea di un marmocchio e di una suocera guarisce immediatamente dalla sua ubriacatura sentimentale: ritengo non si possa definirla proprio una femminista, specie rammentando che il movimento femminista nacque da rivendicazioni di ben altro genere e da donne che lavoravano realmente, e che nella reale indipendenza economica affermavano la propria eguaglianza con l'uomo…

L'ambiguità drammaturgica risulta dunque svuotata di senso, e per così dire abbastanza lambiccata, a meno che non si voglia affidarla tutta al finale aperto de La Rondine, visto che, in apparenza, non si sa dove vada Magda, dove voli questa rondinella pellegrina… Più che di un'antitraviata, e di donna che rifiuta ogni sottomissione, ritengo sarebbe più giusto parlare di donna opportunista che va di gran carriera a riprendersi la propria, comoda, sudditanza…

Un altro elemento rimarcato da Gelmetti è la particolarità de La rondine, particolarità che verrebbe distrutta dal puccinizzarla: se abbiamo ben capito, la puccinizzazione sarebbe un insieme di etichette appiccicate a Puccini, cioè forti tinte, eroine che muoiono, insomma tutto il bagaglio del melodramma, cose che, enfatizzate «hanno fatto etichettare Puccini come verista». Dunque de-puccinizzare Puccini cosa dovrebbe significare? Che La Rondine è un'opera depuccinizzata perché non muore nessuno e perché è caratterizzata da una generale leggerezza della trama. Questo assunto significa che allo stesso modo La Sonnambula dovrebbe essere debellinizzata perché non muore nessuno e perché non c'è un dramma?

Non è dato sapere che utilità possa avere tutto ciò nello stabilire se un'opera è un capolavoro o meno, e comunque non è necessario, per rappresentarla, che un'opera sia un capolavoro: la si può portare in scena anche per amor di novità, di completezza, per rievocazione storica, per evadere dal repertorio blindato dei soliti venti titoli che circolano sempre, per un'infinità di motivi, insomma, tutti validi, purché si abbia l'obiettività di riconoscere che pur sempre di un repêchage si tratta, e che solo il futuro potrà dire l'ultima parola sulla Rondine, come l'ha detta su autentiche riscoperte quali Norma, Il Pirata o il Macbeth verdiano.

Dopo questa purtroppo lunga divagazione, dovuta a nostro parere alla necessità di restituire un'adeguata dimensione oggettiva all'opera rappresentata, dato che un'opera può piacere più di altre dello stesso autore, ma ciò non significa elevarla automaticamente al rango di capolavoro, passiamo senz'altro a fornire un resoconto dello spettacolo al quale abbiamo assistito.

Da un punto di vista scenico, l'allestimento de La Rondine si caratterizzava per una secca demarcazione tra i tre atti, quasi tre registi e tre scenografi differenti vi avessero messo mano: se nel primo atto veniva privilegiata l'atmosfera liberty, con lampade stilizzate, colori pastello e attrezzeria essenziale ma tutto sommato adeguata, nel secondo, la scena da Bullier, la stilizzazione cedeva il passo a una festa carnascialesca in puro stile felliniano, con sovrabbondanza di comparse, abiti che spaziavano dagli antichi romani ai costumi spagnoli tradizionali, per finire con ballerine inguainate in tute aderentissime e luccicanti. Infine, il terzo atto proponeva una scenografia assolutamente minimalistica, formata da un semplice divanetto a due posti più un tavolino in vimini bianco su uno sfondo azzurro cupo. Una scelta scenografica a dir poco incongrua, atta a rendere molto discontinua l'opera, priva anche di una qualsivoglia coerenza temporale, del resto già abbastanza inficiata dai costumi accozzati del primo atto, dove all'abito morbidamente sensuale di Magda si alternavano vesti dal taglio più moderno e niente affatto ascrivibili al primo Novecento, con punte di autoreggenti a vista con tanto di giarrettiera rossa e di smoking luccicante per le amiche della protagonista. Nel secondo la confusione temporale regnava sovrana, ma la festa carnascialesca poteva magari giustificarlo, ma non poteva certo giustificare l'abito da educanda di Magda e non da grisette come avrebbe prescritto il libretto. Infine nel terzo, si vedeva una modernità atemporale, in linea con le scene, salvo per l'incongruo e inverosimile abito da baiadera di Lisette.

L'orchestra del nostro Teatro mostrava di essere abbastanza a proprio agio con la partitura pucciniana, anche se il rapporto tra buca e palcoscenico non sempre è stato proprio preciso, pecca questa forse ascrivibile allo stile di canto proposto agli interpreti: troppe volte, nel canto di conversazione, l'emissione abbastanza flebile faceva sì che l'orchestra sovrastasse i cantanti, e non per sua colpa, mentre in altre il sostituirsi di un declamato di stampo quasi espressionistico al canto di conversazione generava alcune imprecisioni a tutto svantaggio dei cantanti. Efficace e adeguata invece la prova del Coro nel secondo atto.

Giuseppe Filianoti, nel ruolo di Ruggero, pur se dotato di discreta presenza scenica e di voce abbastanza robusta, ha purtroppo manifestato qua e là nel corso dell'esecuzione alcune manchevolezze nell'intonazione e nella copertura degli acuti, mentre Andrea Giovannini, Prunier, si è mosso con sufficiente disinvoltura senza mai forzare, manifestando anzi una discreta morbidezza di emissione. Gradevole e briosa la Lisette di Angela Nisi, forse l'unica immune da quella flebilità di emissione nel canto di conversazione che è stato l'aspetto meno efficace di tutta l'esecuzione. Di buon livello anche il Rambaldo di Marco Frusoni e adeguate Ivanna Speranza, Katarzyna Medlarska e Pilar Tejero, rispettivamente Ivette, Bianca e Suzy.

Patrizia Ciofi, nel ruolo di Magda, forse non in forma ottimale, ha convinto veramente poco, sia per l'emissione a tratti forzata e aspra, sia per le notevoli incertezze nella zona acuta, sia per una generale non aderenza al personaggio.

Giuliana Cutore

17/1/2018

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.