Ritorna alla Scala
Der Rosenkavalier
Ritorna al Teatro alla Scala, con maggiore frequenza rispetto al passato, il capolavoro di Richard Strauss Der Rosenkavalier diretto da Zubin Mehta e con la regia di Harry Kupfer.L'opera, la cui prima fu a Dresda il 26 gennaio 1911, fu composta in pieno sentimentalismo viennese, e straordinariamente supportata dal libretto di Hugo von Hofmannsthal, rivelandoci un mondo onirico dell'aristocrazia d'oltralpe attraverso uno spartito ove si riscontra il tratto sinfonico dell'autore, il quale ha impresso una raffinata scrittura malinconica ma anche sensuale. Forse il comune denominatore è il tempo che passa, tema quanto mai attuale, e l'unica che inconsciamente non se ne accorge o non vuole rendersene conto è la figura della Marescialla, la quale pur rinunciando al giovane amante, fatica ad accettare l'inesorabile destino, ma lo fa con un contenuto amaro sorriso. Una commedia, dolce e ricca di sentimenti, che ci trasporta nel fantastico impero settecentesco asburgico, con chiari riferimenti a colei che fu regina progressista e amata: Maria Teresa. Il regista Harry Kupfer, che ha ideato lo spettacolo al Festival di Salisburgo la scorsa estate, mantiene questo equilibrio puntando soprattutto sulla lettura della commedia all'antica. Molto calibrata la recitazione, tutti i personaggi sono perfettamente credibili, e collaborando con Hans Schavernoch, scenografo, ci trasporta in un mondo fantastico la cui scena è composta di pochi elementi, ma le proiezioni, in bianco e nero, dei tetti della capitale austrica affascinano e fanno affiorare ricordi personali nel riconoscere luoghi e palazzi visitati, il Palazzo Reale, il Prater, ecc. Merito del bravo regista video Thomas Reimer, che nel primo atto coglie il momento migliore assieme al regista per realizzare quest'affresco moderno. Nel secondo atto manca la magnificenza nel grande momento dell'ingresso di Octavian e la grande atmosfera della residenza di Faninal, ma nel complesso funziona anche una lettura cosi asciutta. In parte meno riuscito il terzo atto, la scena della taverna di second'ordine è un po' troppo sovraccarica di recitazione e gags, le proiezioni sono magnifiche (il Prater, addirittura con autovolante), e comunque il regista ci riserva un finale quasi cinematografico quando la marescialla e Faninal lasciano i giovani amanti transitando su una vettura automobilistica di lusso. Pur rispettando a puntino tutta la drammaturgia, il regista e lo scenografo spostano l'azione negli ultimi anni dell'Impero, intorno al 1920, creando un epilogo romanzato di quello che fu la grande Vienna. Molto belli i costumi, di gran classe e ottima fattura sartoriale di Yan Tax, particolarmente efficace l'apporto di Jurgen Hoffmann, il quale ha ideato le luci.
Sul podio dell'orchestra del Teatro alla Scala abbiamo ritrovato il maestro Zubin Mehta, che negli ultimi anni ha iniziato a rifrequentare il teatro dopo una lunga assenza, in parte ingiustificata. Bacchetta tra le più apprezzate da sempre, in epoche recenti si è spesso lasciata coinvolgere dagli allori “rilassandosi” su routine anonime, pur sempre prestigiose. In quest'occasione siamo in parte ritornati ai festosi momenti di grande concertazione. Coadiuvato da un'orchestra particolarmente ispirata, egli ha diretto in maniera superba cercando soprattutto una lettura teatrale raffinata e vivida, esclude la leziosità a priori e punta con efficacia alla narrazione. Potremmo affermare che egli focalizza principalmente la melodia, esemplari in tal senso l'accompagnamento del monologo della Marescialla al primo atto e il terzetto del terzo, ma non è superficiale, anzi il contrario, nelle molte scene d'assieme (bagarre del II atto e scena della locanda al III atto), nelle quali dimostra di possedere elegante e perfetta sensibilità di teatro musicale. L'unico momento deludente, in parte, è stata la scena della presentazione della rosa, ove mi sarei aspettato maggior enfasi e vibrazione.
Delude la protagonista Sophie Koch, Octavian, la quale ha una voce non particolarmente seducente, ma sono i problemi di volume a metterla a disagio e ad essere coperta dalle altre voci o dall'orchestra, cui si deve aggiungere che gli acuti non sono del tutto efficaci e sovente si riscontrano carenze nell'intonazione. Molto più convincente la Marescialla di Krassimira Stoyanova, la quale sfodera un timbro molto seducente, fraseggio eloquente, e soavità canore nel canto di conversazione rilevanti, tuttavia ritengo che il ruolo non le sia del tutto congeniale per mancanza di fascino e carisma, molte frasi sono lasciate al caso, anche se ben cantate, e il tormento interiore non del tutto messo a fuoco.
Gunther Groissbock è un Barone Ochs con voce chiarissima, fin troppo, però la gamma vocale è precisa e nitida sia nel grave sia nell'acuto, bella la voce, sfumati i colori e apprezzabile il fraseggio. Inoltre si deve considerare la grande arte attoriale, la quale gli permette di interpretare un personaggio cesellato nella sbruffoneria e nell'arroganza.Meno riuscita la Sophie di Christiane Karg, la quale manca di velluto vocale e si adagia su una voce lieve e spesso flebile ma poco emotiva, e non dimostra neppure una recitazione rilevante.
Molto bravo il Faninal di Adrian Erod, voce ben timbrata e pastosa, professionale la Marianne di Silvana Dussman, simpatica Deunna molto teatrale. Garbato e puntuale vocalmente il Valzacchi di Kresimir Spicer, sfogata e disomogenea l'Annina di Janina Baechle. Rilevante il tenore Banjamin Bernheim, il cantante italiano, in possesso di ottimo timbro e particolare accento nel settore acuto.
Gli altri interpreti hanno dimostrato una grande professionalità nei loro brevi interventi, ma una citazione va alle tre orfanelle: Theresa Zisser, Mareike Jankowski e Kristin Sveinsdottir per la deliziosa sintonia dimostrata. Sotto l'aspetto teatrale ma anche musicale è doveroso segnalare che tutti i comprimari hanno realizzato le loro interpretazioni con una verve apprezzabilissima.
Il Coro ha come il solito fornito un perfetto apporto, mentre di assoluto rilievo l'esibizione del Coro di Voci Bianche del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni. Una particolarità: il giovane Mohammed, solitamente interpretato da un ragazzino, qui era impersonato da un giovane adulto, al quale il regista ha riservato atteggiamenti quasi d'innamorato della Marescialla, visione pertinente e simpatica.
Meritato e convinto successo al termine.
Lukas Franceschini
20/6/2016
Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano - Teatro alla Scala.
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