RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Venezia

Affascinante Semiramide

Il rapporto tra la regina incestuosa e Venezia è stato sempre privilegiato fin dalla prima volta: in effetti, è stata La Fenice ad averla a battesimo, e in questi giorni si è potuto vedere anche la partitura autografa di Rossini datata 1824 con la firma del Maestro. In una versione integrale, come dev'essere se si vuole capire bene non solo lo sviluppo della vicenda ma anche quello dei personaggi e del pensiero musicale del compositore, le quattro ore di questo monumento – epilogo e riassunto del versante serio della produzione rossiniana prima di andarsene a Parigi – praticamente passavano in un soffio.

Il nuovo allestimento per la regia di Cecilia Ligorio non è uniformemente azzeccato ma invece sempre interessante – dimentichiamo colori di gusto non sempre raffinatissimo, come il giallo oro di parecchi abiti che fanno pensare all'aspetto più kitsch dei kolossal americani a colori, o di certi peplum italiani – e correttamente sommerso nel buio più sepolcrale come conviene alla seconda parte. C'è poi una bella disposizione del coro, che ha parte d'importanza nell'opera, una più che corretta direzione dei cantanti che aiutava anche i meno dotati come interpreti mentre faceva emergere le doti naturali di un vero artista quale Alex Esposito: il suo Assur era la caratterizzazione più completa della serata da qualsiasi punto di vista. Pensare che un piccolo incidente lo costringeva a servirsi di un bastone con il quale faceva meraviglie. Spiccavano i duetti e la grande scena della follia ma ogni singolo recitativo era esemplare, il timbro bellissimo e scuro, la linea di canto ineccepibile.

E, per esempio, per la prima volta viene chiaramente ribadita la psicologia della regina che, come Dante fa dire a Virgilio nell'Inferno, V, v.54 a 57: “fu imperadrice di molte favelle./A vizio di lussuria fu sì rotta,/che libito fé licito in sua legge,/per tòrre il biasmo in che era condotta.” I servi che l'accompagnano e proteggono hanno un rapporto parecchio intimo con la vedova incestuosa di Nino. Ed è stata anche la volta in cui ho trovato più espressiva Jessica Pratt, benché alcuni si lamentino del suo approccio generico tipico di un soprano di coloratura. Certo che un ruolo per la Colbran non sembrerebbe adatto a una voce leggera senza forza nei centri e i gravi, ma da tempo la tradizione ha fatto passare il ruolo a un liricoleggero anziché a un Falcon. E come questo soprano ne vorremmo tanti. Buona dizione – che, ad esempio, non aveva la stupenda Sutherland che ha ‘riscoperto' l'opera – recitativi almeno corretti se non sensazionali (qui si sente soprattutto la ‘debolezza' dei registri citati anche se la voce non è quella di un canarino) che vengono compensati, com'è di prammatica, con un'esibizione stupefacente di picchettatti, acuti e sovracuti, messe di voce e trilli , il tutto molto luminoso, argenteo, e con delle variazioni interessantissime.

Teresa Iervolino ci offriva un Arsace notevole: magari le note più gravi non sono rotonde e il timbro non si distingue per lo squillo, ma la parte è tremenda e veniva presa di petto, con esiti ancora più felici nella seconda parte della serata.

Enea Scala cantava con qualche piccolo problema di salute che però non passava alla sala: l'acuto, che è quello che si ammira di più nella sua voce, era svettante, spericolato e sicurissimo, mentre il colore non è certo molto bello, e se come attore qualche volta faceva un po' sorridere, le agilità erano precise: Idreno è un personaggio che, tranne il canto, offre ben poco al tenore che ci doveva essere per forza, ma la parte non ha l'interesse delle altre tre.

Da notare la voce di basso di Francesco Milanese (l'ombra di Nino), forse con meno potenza di quella di Simon Lim che, con la presenza di tutti i recitativi e scene, aveva in Oroe una parte ben più lunga ed importante di quanto si crede, con mezzi eccellenti ma una qualche tendenza a sbandare nell'intonazione verso la fine delle frasi. Marta Mari non aveva troppo da fare nei panni della tanto contesa Azema, ma era molto corretta. Il Mitrane di Enrico Iviglia parecchio accettabile. Il coro cantava stupendamente (forse in qualche momento un po' forte) istruito da Claudio Marino Moretti.

L'orchestra suonava in grande forma e seguiva bene le indicazioni di Riccardo Frizza, che sceglieva tempi vivaci già dalla sinfonia – eseguita da manuale – e se qualche volta caricava un po' la mano senza troppo ricordare le voci sul palcoscenico non meritava assolutamente qualche protesta isolata. Teatro molto pieno e pubblico entusiasta malgrado la presenza incombente dell'acqua alta.

Jorge Binaghi

5/11/2018

Le foto del servizio sono di Michele Crosera.