Meglio un Turco che un briccone?
Algeri, ma mi è venuto alla mente a fine spettacolo dopo la prima de Il Turco in Italia che è stato l'ultimo dei tre titoli rossiniani di questa stagione di autunno alla Scala, il meno noto dei tre (e meno popolare) ma non per demeriti ma per la difficoltà di trovare una compagnia di canto affiatata (con almeno quattro fuori classe o comunque notevoli cantanti-attori), un allestimento divertente e interessante e una direzione musicale all'altezza. L'opera è stata l'ultima (solo una recita) a salire sul palcoscenico scaligera prima della dolorosa chiusura dovuta alla pandemia. Questa volta si trovava di nuovo quasi tutta la compagnia, tranne due artisti.
Purtroppo Diego Fasolis, che è un notevole direttore del repertorio barocco e ottimo interprete qui stesso di un'ottima Finta Giardiniera di Mozart, dimostrava anch'esso, come un altro collega nell'anteriore Italiana, che questo non basta per riuscire nel mondo rossiniano. Già dalla sinfonia si fece presente una direzione pesante, piuttosto chiassosa, e poco accativante. L'orchestra suonava certo molto bene, ma l'aspetto tecnico in sé non è bastante. Il coro, diretto da Alberto Malazzi, sì era un eccellente elemento.
Neanche la messinscena di Roberto Andò (un regista cinematografico molto valido, a mio modesto parere) serviva a confutare il fatto che non a tutti è concesso il passare da un mezzo all'altro con risultati simili. Scena molto aperta, approccio ‘naif' e con più di uno stereotipo che oggi si è soliti abominare ma qualche volta ancora funziona, non aiutavano i cantanti, che davano il loro meglio ed erano più che attendibili, ma da soli non potevano assicurare il successo della serata. Ho pensato anche (sono un eretico) che una versione in forma di concerto con un'altra bacchetta sarebbe stata molto più riuscita.
Il protagonista di Erwin Schrott era molto buono come canto ma, strano in lui, troppo riservato come personaggio. La Fiorilla di Rosa Feola era anche molto brava senza però fare spasimare. Chi più applausi raccoglieva a scena aperta era Giulio Mastrototaro nell'aria del secondo atto, di solito ommessa: si tratta di un buon Geronio, ma è pur sempre un baritono e quindi non la voce ideale per il ruolo. Alessio Arduini, nei panni del poeta (il personaggio più nuovo e forse più interessante di tutti), dava sicuramente tutto, ed era bravo, ma anche nei suoi interventi mancava quel ‘non so che' indefinibile che fa la differenza. Antonino Siragusa aveva in Narciso una parte quasi su misura e l'approfittava in particolare nella seconda aria. Laura Verrecchia non so se aveva una di quelle serate dove la voce non risponde bene ma è un fatto che la sua Zaida, bene interpretata, restava problematica. Mi risulta un mistero quale è stato il motivo di scritturare Manuel Amati per Albazar: è molto simpatico ma poco audibile anche se quel poco non sembrava male, ma le dimensioni della Scala sono quelle che sono e non perdonano. Pubblico non molto affollato alla prima e applausi non troppo entusiastici.
Jorge Binaghi
21/10/2021
La foto del servizio è di Brescia e Amisano.
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