Festival rossiniano a Torino, 2/4
Secondo appuntamento con Rossini e dintorni all'auditorium Arturo Toscanini di Torino, venerdì 15 giugno 2018. Questa volta, l'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN), diretta da Fabio Luisi, ha presentato un programma che, del titolo della rassegna, esplora più i dintorni che Rossini: in parte, per l'esecuzione delle Soirées musicales Op.9 e delle Matinées musicales Op.24 di Benjamin Britten, ispirate ad alcune pagine rossiniane, in parte a causa della defezione del basso-baritono Luca Pisaroni, presumibilmente per il suo contemporaneo impegno nella produzione scaligera del Fidelio , nel ruolo di Don Pizarro, in scena in questi giorni. La sua parte di programma, le arie Il mio piano è preparato da La gazza ladra, Sois immobile da Guillaume Tell, Qu'à ma voix la victoire s'arrête da Le siège de Corinthe, e Sì, vi sarà vendetta da Semiramide, è stata sostituita dalla Sinfonia n°8 in fa maggiore Op.93 di Ludwig van Beethoven, brano che coi dintorni rossiniani ha ben poco da spartire, se non per l'epoca di composizione, il 1811-12, che coincide con il debutto sulla scena operistica del pesarese: proprio nel 1812, infatti, viene rappresentata al Teatro Valle di Roma la sua prima opera, Demetrio e Polibio, mentre, sempre nel 1812, vedono la luce ben cinque altre opere. Se per durata l'Ottava è la più breve del corpus beethoveniano, non per questo è la meno ricca di novità, nonostante venga volutamente impostata secondo gli schemi ormai sclerotizzati della sinfonia haydniana-mozartiana. Ma periodicamente, nel catalogo di Beethoven si assiste simili ritorni al passato, visti con lo sguardo di uno che sapeva innovare con delle zampate da leone le forme trite e ritrite del sonatismo classico.
I brani di Britten sono principalmente, ma non solo, l'orchestrazione di alcuni brani delle Soirées musicales di Rossini, raccolta di dodici pezzi per voce e pianoforte scritti durante il lungo esilio dal mondo operistico che seguì alla composizione del Guillaume Tell. L'Op.9 nasce nel 1935 come colonna sonora per un film di Lotte Reiniger, The torch. L'Op.24 vede la luce nel 1941, e di nuovo Britten scava nella produzione meno frequentata di Rossini per disseppellirne e orchestrarne brani di non comune ascolto, altri tre dalle Soirées musicales, un ballabile dal Tell e un esercizio per voce dalla raccolta Gorgheggi e solfeggi. Nel complesso, due suites di cinque movimenti l'una, quale omaggio a Rossini (sulla scia della Rossiniana P.148 di Respighi, del 1925), dove il plusvalore di Britten risiede nella smagliante e geniale orchestrazione, che, col suo uso originale e massiccio delle percussioni, può ricordare, senza essere esagerati, un certo Bernstein.
Regolare invece il resto del programma, con l'esecuzione delle Sinfonie da Semiramide e Guillaume Tell. La prima, costruita secondo lo schema della sinfonia d'opera rossiniana, con tanto di specialità della casa, il crescendo rossiniano, avvia l'ultima opera scritta da Rossini esplicitamente per i palcoscenici italiani (prima rappresentazione assoluta: Fenice di Venezia, 3 febbraio 1823), tratta dalla Tragédie de Semiramis di Voltaire; la seconda, scritta per quello che è di fatto il primo grand-opéra francese, scritto nel 1829 per il Théâtre de l'Académie Royale de Musique di Parigi e tratto dal Wilhelm Tell di Schiller, inaugura una nuova concezione del brano strumentale in testa all'opera, concentrando al suo interno un piccolo poema sinfonico in quattro sezioni, culminante nella fin troppo famosa fanfara con squilli di tromba in primo piano, che allude alla riscossa per la libertà della Svizzera.
Luisi guida l'OSN con perizia e con una non comune eleganza, non solo di gesto direttoriale, ma anche e soprattutto di sfumature sonore. La sua direzione regala qua e là sguardi originali su pezzi di largo consumo come questi e sui quali si pensa di sapere tutto. Notevole soprattutto, nell'Ottava di Beethoven, l'Allegro scherzando, ricco di dinamiche e curato nei dettagli; molto fluido il Tempo di minuetto seguente, che non accentua il carattere rude e contadinesco tipico di tanti movimenti di Haydn. La vitalità più sfrenata, quasi una replica, in spirito, del finale della Settima, innerva l'Allegro vivace conclusivo, come se Luisi avesse voluto conservare, dulcis in fundo, il meglio per ultimo e avesse voluto sottrarre una parte dell'energia del terzo movimento per scaricarla nel quarto.
È tuttavia nei brani di Britten che Luisi ha modo di sfoggiare, e l'orchestra con lui, tutta la sua abilità. Si resta stupiti della poliedricità con cui il suono si adatta ai diversi stati d'animo dei brani, che sono a tutti gli effetti un saggio di orchestrazione – a un certo punto il triangolo, per esigenze timbriche, viene percosso con una bacchetta di legno da rullante, anziché con la solita bacchetta di metallo: tanto per dare un'idea... Si passa dal sognante Notturno, con il delicato timbro della celesta, al sensuale Bolero, con tanto di nacchere, alla vivace robustezza della Tirolese, con gli evidenti richiami allo jodel, ecc.
Il meglio viene raggiunto nelle due Sinfonie rossiniane: robusta, convinta e potente quella della Semiramide, ancor più piena di brio quella del Tell, dove il rischio di finire con l'essere trascinati dal ritmo ossessivo e coinvolgente della fanfara viene adeguatamente evitato grazie ad un attento controllo di ritmo e dinamche, che ricorda la direzione di Muti. Pregevole il dialogo cameristico del concertino dei primi quattro violoncelli (Massimo Macri e Pierpaolo Toso prime parti), intimo e placido l'intervento del corno inglese, contrappuntato in modo delicato e attento dal flauto.
Christian Speranza
24/6/2018
La foto del servizio è di Maria Vernietti.
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