Se il suo nome saper voi rimate …
Una gazza e una bottiglia di liquore, una chiave e un corno, un topolino che addenta un quadrato di gorgonzola e un tortellino, un paio di mutandoni rossi dispiegati al vento e una penna e un calamaio morbidamente adagiati su un foglio di pergamena: immediatamente sopra i numeri di pagina, capitolo per capitolo, sono le illustrazioni che accompagnano Rossini. Piano Pianissimo Forte Fortissimo, di Lina Maria Ugolini, fresco di stampa per i tipi della palermitana rueBallu nella collana Jeunesse ottopiù. Si tratta – come si evince dal titolo stesso della collana – di un deliziosa biografia – stavamo per scrivere “saporita”, in un accesso di palermitudine – dedicata ai più piccini ma fortemente raccomandata anche per i più grandi. Al centro del racconto, «frutto di verità biografica e invenzione narrativa», l'infanzia e l'adolescenza di un bambino «segnato – come leggiamo nell' Ouverture – da un singolare destino, quello d'essere nato durante un temporale e in un giorno non comune», il 29 febbraio del 1792: una sorta di singolare Gioachin Burrasca, come viene definito il simpatico monello.
Non è certo il caso di svelare le singolari avventure di un ragazzino vivace ed entusiasta, negli anni che intercorrono tra il 1792 e il 1804: lo scoprirà il lettore, magari leggendo il libro alle orecchie attente di un giovane ascoltatore. Ma alcuni aspetti della pubblicazione meritano di essere sottolineati. Per cominciare la veste editoriale, ormai una delle peculiarità della raffinatissima casa editrice siciliana. Stampato su carta materica, realizzata a partire da fibre di cotone naturale, l'agile volumetto inaugura la collaborazione con il Master in Illustrazione editoriale “Ars in fabula”, coordinato da Mauro Evangelista, che con levità e musicalità firma anche l'indirizzo di saluto. Si devono dunque alla penna estrosa e creativa della giovanissima Giorgia Biancini le illustrazioni del volume, a partire da quel piccolo capolavoro che è la copertina, in cui campeggia un ritratto del Pesarese liberamente ispirato al celeberrimo dagherrotipo di Félix Nadar, realizzato sul finire degli anni Cinquanta dell'Ottocento: pingue e maestoso, il Maestro impugna un bastone dal pomo d'oro su cui si posa una gazza, protagonista del capolavoro semiserio del compositore. Ad ogni capitolo viene quindi assegnato un colore, dal turchese al bordeaux, dall'ottanio al carminio, tutto un caleidoscopio di nuances destinato a trovare riscontro nelle splendide immagini, a metà tra il gusto naïf del “doganiere” Rousseau e l' imagerie garbata e sorridente della letteratura per l'infanzia.
Dal cilindro dell'autrice, poi, scaturisce un'autentica sinfonia di parole, immaginata per incantare, stupire, lasciare a bocca aperta. Già un Indice degli ascolti, un attimo prima che finisca il racconto, suggerisce la colonna sonora ideale da affiancare alla lettura dei singoli capitoli, un percorso didattico di sicuro impatto. Ma pagina dopo pagina, tra tagliatelle e tortellini, mortadelle e violini, non solo ci si ritrova immersi nella vita marchigiana ed emiliana di fine Settecento, ai confini nord-orientali dello Stato della Chiesa, tra echi rivoluzionari e palcoscenici di provincia; ma si va al cuore della drammaturgia rossiniana, scoprendone alcune intuizioni folgoranti. Un po' per celia, un po' per non soffrir, si scopre così la (presunta…) origine dei colpi d'archetto sul leggio della Sinfonia del Signor Bruschino come del duetto buffo di due gatti, attribuito al Pesarese. Come succulente portate di un pranzo di festa, episodi divertenti e scanzonati, sempre vergati in punta di penna, si succedono con rapidità folgorante in un irresistibile crescendo, che culmina nella composizione delle Sei sonate a quattro, gemme inestimabili della “prima maniera” rossiniana. L'ultima delle quali si conclude, nell'ultimo movimento, con una vorticosa, burrascosa “Tempesta”, preludio a tutte quelle che – dalla Pietra del paragone fino a Guillaume Tell – costituiranno il punto di snodo di complesse trame narrative, il momento in cui l'intricata matassa del «nodo avviluppato» nel corso dell'opera – giusta la struttura dello gliuommero partenopeo – comincia infine a sbrogliarsi.
Qui si ferma, prudentemente e saggiamente, Lina Maria Ugolini: un po' perché il suo scopo è quello di far venire l'acquolina in bocca al lettore, magari invogliandolo poi ad approfondire la materia; un po' perché in quest'infanzia precoce e ribelle sta già racchiusa, in nuce, l'intera parabola del genio. E nessuno poteva saperlo meglio di lei, visto che Ugolini fa rima proprio con Rossini…
Giuseppe Montemagno
16/8/2015
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