La dolente femminilità di Norma
Inaugurazione in grande stile per la stagione di opere e balletti 2025 al Bellini di Catania il 18 gennaio, con la proposta, in occasione del 190° anniversario della morte del Cigno, della sua opera in assoluto più amata in tutto il mondo, e che il genio di Maria Callas ha restituito al primitivo splendore, determinando quella grande riscoperta che va sotto il nome di Bellini Renaissance: Norma. L'opera, dedicata alla memoria di Domenico De Meo, musicologo catanese scomparso il 15 ottobre 2022, e che a Bellini ha dedicato tutta la sua lunga esistenza, vantava una messa in scena, almeno sulla carta, di tutto rilievo: regia, scene e costumi erano infatti dell'argentino Hugo De Ana, che vanta collaborazioni con i maggiori teatri di tutto il mondo, e che per l'occasione ha ripreso l'allestimento del Sofia Opera and Ballet House, improntato a una rivisitazione di Norma in epoca napoleonica. Proiezioni che precedevano e accompagnavano la rappresentazione, raffiguranti statue che spaziavano dall'antichità greca sino all'epoca ellenistica, slargandosi alle opere di Canova e al celebre ritratto equestre di Napoleone di Jacques-Louis David, avrebbero certamente voluto sottolineare il fil rouge che lega tutta la storia umana, e cioè il suo essere sostanzialmente dinamica di oppressi e oppressori, e fin qui nulla di strano, o di particolarmente innovativo; il problema di fondo di tale allestimento è però il fatto che la scarna connotazione visiva, unita a una generica fattura stile impero dei costumi femminili e a divise abbastanza convenzionali per gli uomini, impediva di fatto di capire bene chi opprimeva chi, ma anche questo sarebbe stato difetto di poco conto se per altri versi la scenografia non si fosse rivelata abbastanza convenzionale e poco incisiva, fatta salva la sua estrema funzionalità e snellezza, qualità che hanno evitato farraginosi cambi scena e che si sono rivelate, con le mobili colonne neoclassiche che rimandavano al grande Alessandro Sanquirico, in grado non solo di conferire una certa dinamicità alla scena, ma anche di permettere agevoli movimenti, soprattutto per le masse corali, disposte, in particolare nel finale, con iconica plasticità. Quello che però scaturiva dalla regia nel suo complesso era una sua certa essenza anodina, incapace di imprimersi con intuizioni veramente originali all'occhio del pubblico, mentre quando tentava incursioni più audaci ne scaturivano gratuità come Norma che sventola uno stendardo prima del coro “Guerra, guerra!”, o petali di rosa più adatti a Madama Butterfly che cadono sulla sacerdotessa mentre canta “Casta Diva”, oppure il gong suonato dalla protagonista nel secondo atto, gong naturalmente presente in buca ma non in scena, dove era inopinatamente sostituito da uno scoppio di petardi.
Sul versante musicale tutto andava decisamente meglio, tolte alcune incertezze iniziali trascurabili, ma del resto si sa che la prima parte dell'opera, dalla Sinfonia sino al duetto Adalgisa-Pollione, segna momenti di grande tensione subliminale sia nell'orchestra che nei cantanti, almeno in chi interpreta Norma o Pollione, certo per le famose registrazioni che si sono ormai indelebilmente impresse nelle orecchie dei melomani. Ma tolte queste inezie che fanno la felicità dei vedovi Callas, mentre invece sono abbastanza fuorvianti al giorno d'oggi, va senz'altro detto che l'esecuzione ha segnato via via un poderoso crescendo qualitativo, che ha trovato i suoi momenti più intensi e coinvolgenti nello struggente assolo di violoncello all'inizio del secondo atto, evidenziando nel suo complesso, da parte di Leonardo Sini, cui era affidata l'orchestra, un'attenta e sensibile scelta dei tempi, grande cura negli attacchi e una tavolozza timbrica in grado di sottolineare sia i momenti più diffusamente lirici e dolorosi, sia quelli guerrieri ed eroici, evitando in questi ultimi sonorità roboanti ed eccessive che avrebbero innestato il famigerato effetto-banda tanto vituperato dai tedeschi quanto odiato dagli stessi operisti. Caratteristiche essenziali della direzione di Sini sono state comunque un'attenta concertazione, cui si doveva sia l'estrema precisione dell'attacco e del rilascio del suono, una generale armonia dei tempi, ma soprattutto una fedele lettura della partitura, dove tutto è stato rispettato ed eseguito del dettato belliniano. Ottima anche la resa del coro, istruito come sempre da Luigi Petrozziello, in particolare per quel che riguarda il settore femminile, che ha offerto chiaroscuri preziosi nella “preghiera” del secondo atto.
Di ottimo livello tutto il cast vocale, a partire dall'Oroveso di Carlo Lepore, basso di grande esperienza che ha tratteggiato un capo druido non eccessivamente imponente ma di notevole dignità, trovando nella scena finale con Norma accenti di dolente partecipazione e paterna tenerezza. Notevole anche la prova di Antonio Poli, nel ruolo di Pollione, che dopo le incertezze iniziali cui accennavamo sopra, con una cavatina non perfettamente eseguita, e l'impervia cabaletta che lo ha visto in qualche difficoltà, specie perché ripetuta come è ormai d'obbligo, è cresciuto rapidamente a partire dal duetto con Adalgisa, riuscendo a trovare agevolmente la quadra del recitativo belliniano, evitando forzature fuori luogo, ma anzi evidenziando una morbidezza timbrica e una tenuta di fiato di tutto rispetto. Ottima anche la dizione, che si univa a una disinvoltura scenica e a una dolcezza di emissione e a mezze voci che hanno certamente costituito il suo punto di forza in tutta la scena finale.
Di grande rilievo la prestazione offerta da Elisa Balbo, soprano lirico quanto mai interessante, dotato di una zona media morbida e incisiva, mentre quella acuta spiccava per limpidezza di suono e facilità di emissione. La sua Adalgisa si è distinta per estrema musicalità, per gli accenti struggenti che è riuscita a infondere nei duetti con Norma, in particolare nel secondo, dove il suo “Mira, o Norma, a' tuoi ginocchi” è stato senz'altro il punto più alto e tecnicamente perfetto di tutta la sua prestazione. La Balbo si è rivelata insomma una cantante dalle grandi potenzialità, in special modo per la bellezza e possanza di una zona medio-grave che, unita alla luminosità ed estensione degli acuti, la fanno annoverare tra quei rari casi di soprano Falcon che potrebbero aprirle grandi vie per il suo futuro repertorio.
A questo punto ci si consenta una piccola nota in margine: l'edizione proposta dal Bellini prevedeva, com'è ormai norma filologica, tutti i tagli aperti e il ripristino appunto del soprano nel ruolo di Adalgisa, al posto del classico mezzosoprano che viene però stranamente riproposto nel secondo cast…
Infine Irina Lungu, che debuttava a Catania nel ruolo della sacerdotessa druidica, ha presentato la sua Norma, scevra dell'impeto barbarico di memoria callassiana, ma molto più attenta alle sfumature femminili materne e amorose, dove la ieraticità di Norma, la sua “celeste austerità” si stemperava in un dolore diffuso, permeandone la funzione guerriera, vista più come una zona d'ombra che impedirebbe alla vera Norma di emergere in tutta la sua icasticità che come una parte della complessità del personaggio. Il soprano russo ha confermato ancora una volta le sue indubbie doti vocali, riducendo al minimo le fioriture cui talvolta certe cantanti indulgono, snaturando in certo modo la vocalità di Norma, dove il processo di distacco di Bellini dal belcanto rossiniano subisce una decisa accelerazione, e mostrando di aver perfettamente compreso la funzione del recitativo belliniano, parte integrante dell'opera e non più solo mero riempitivo tra un'aria e l'altra. A tal proposito, la Lungu ha curato ogni recitativo nel minimo dettaglio, riuscendo a emergere più in quelli lirici che in quelli più stentorei e barbarici, dove per capirci emerge una personalità di Norma cui il soprano ha forse deciso di non aderire completamente: ha dimostrato comunque una grande morbidezza di suono, dominio notevole delle agilità e un'eleganza di fraseggio che ne hanno fatto una protagonista di buon livello, sia per effusione lirica che per disinvoltura scenica. La successiva maturazione del ruolo, senz'altro uno dei più complessi del melodramma, le consentirà certamente di aggiungerlo stabilmente al suo già vasto repertorio.
Completavano il cast Anna Malavasi, Clotilde, e Marco Puggioni, nel ruolo di Flavio.
Repliche sino al 26 gennaio.
Giuliana Cutore
19/1/2025
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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