RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La tortura mentale degli affetti

Sadismo di coppia

Da sinistra: Francesca Agate, Francesco Bernava e Plinio Milazzo.

La vita di coppia, come ogni tipo di esistenza che implichi il reciproco instaurarsi di relazioni affettive ed emotive, necessita, che lo si ammetta o no, di una buona dose di finzione per sopravvivere: che poi questa finzione la si chiami tatto, amore del quieto vivere, o ipocrisia (come sarebbe più giusto), o ancora rispetto dei ruoli, capacità di sopportazione, è solo un dettaglio. Se infatti ciascuno di noi dicesse in ogni momento tutto quel che gli passa per la testa, se volesse essere sincero sino in fondo, soprattutto con se stesso, è lecito ritenere che nessun rapporto umano riuscirebbe a sopravvivere, né quello tra marito e moglie, né tra genitori e figli, né tra amici. Ogni relazione umana è frutto di continui aggiustamenti, di piccole finzioni quotidiane, di sentimenti repressi, talvolta inconfessabili per gli standard sociali, che costituiscono l'humus oscuro che alimenta la pianta dei cosiddetti affetti umani, che millenni di educazione e di rispetto delle convenienze hanno ridotto da espressione puramente emotiva a schemi di comportamenti e reazioni codificati che, se da un lato hanno effettivamente mantenuto in piedi la società con i minori danni possibili, dall'altro hanno incarcerato psicologicamente l'essere umano, con tutte le conseguenze psichiatriche e psicosomatiche del caso, che oggi costituiscono il pane quotidiano (ma anche il companatico) di terapisti di coppia, psicologi, medici alternativi e categorie varie dedite a sanare, o a tentar di sanare, i guasti che costituiscono lo scotto che ogni individuo deve pagare alla sua permanenza nel sociale.

Ma cosa potrebbe succedere se all'improvviso una coppia decidesse di giocare sino in fondo il gioco della sincerità? Cosa accadrebbe se tutto quel che è stato accuratamente nascosto, taciuto, indovinato e intuito ma mai detto, venisse improvvisamente fuori? È quel che si è chiesto Francesco Maria Attardi, autore e regista di Sadismo di Coppia, andato in scena dal 9 all'11 febbraio al Centro Zo di Catania, nell'ambito della rassegna Teatro Mobile di Catania.

Francesca e Peppe, sposi novelli dopo una lunghissima convivenza, decidono, mentre sono alle prese con scatoloni, mobili e suppellettili durante il trasloco nella nuova casa, di dare in certo senso aria al loro rapporto, confessandosi i reciproci tradimenti per ricominciare tutto daccapo. Messa così sembrerebbe una buona idea, una sorta di resettaggio di una relazione comunque importante e valida, ma la promessa di perdonarsi tutto non regge, dando il via a una reazione a catena alla fine della quale non resterà che lasciarsi, o rifugiarsi nella terapia di coppia, o rimettersi addosso la cappa dell'ipocrisia e tentare di ricominciare come se nulla fosse.

Quel che viene fuori in maniera sottile e insinuante da questo validissimo testo, che pur mantenendo una comica leggerezza di fondo riesce a scavare senza parere nei tortuosi meandri dell'affettività e dei comportamenti umani, è il fatto che la sincerità non paga, e che anche il proporsi di essere assolutamente sinceri all'interno di una qualsiasi relazione non è altro che una raffinata ipocrisia per sapere dall'altro quel che vogliamo o speriamo sentire, salvo poi ad arretrare terrorizzati quando il gioco si fa veramente duro. Così, quel che sembrerebbe un classico triangolo amoroso, una banale storia di corna tra lui, lei e l'amico di famiglia, diventa un massacro devastante, e devastante nella misura in cui i protagonisti, nel gioco di sentimenti e interazioni, diventano sempre meno ipocriti con se stessi e con gli altri due, in un crescendo che è non solo sadico ma anche masochistico, dal momento che la volontà di sapere si svela gradualmente anche come un desiderio di soffrire, liberatorio e angoscioso ad un tempo.

Un atto unico di grande intensità, cui i video di Film Making Arts hanno contribuito a conferire una tridimensionalità molto suggestiva, con le proiezioni dei protagonisti alle prese con la terapia di coppia post confessione, con un'essenziale scenografia, curata da Arsinoe Delacroix, fatta di scatole e scatoloni, vuotati e tornati a riempire, patente allusione al lavorio mentale del terzetto sul palcoscenico, e di un geniale spegnersi e riaccendersi di luci guidato dal battito delle mani degli attori, quasi a suggerire i lampi di coscienza (determinati dal buio) all'interno della piatta luce dell'esistenza quotidiana.

I tre protagonisti, Plinio Milazzo, nel ruolo di Peppe, Francesca Agate, Francesca, e Francesco Bernava, Piero, l'amico di famiglia, hanno recitato con notevole disinvoltura, evitando le secche caricaturali e la tentazione di scadere nella crassa comicità, specialmente nei dialoghi recitati con dizione volutamente sporca, riuscendo a rendere palpabile il loro giocare un sadico, perverso gioco: quello della verità.

Giuliana Cutore

12/2/2018

La foto del servizio è di Gianluigi Primaverile.