Sakuntala di Franco Alfano
al Teatro Massimo Bellini di Catania
In origine l'opera in tre atti di Franco Alfano, su libretto proprio, s'intitolava La leggenda di Sakuntala e così era approdata alla prima rappresentazione assoluta, diretta dal grande Tullio Serafin al Teatro Comunale di Bologna, il 10 dicembre 1921. Tuttavia partitura e materiali d'orchestra andarono perduti, con tutta probabilità distrutti da una bomba alleata che durante il secondo conflitto mondiale aveva colpito e in gran parte distrutto gli archivi di Casa Ricordi. Allora il compositore ricostruì, da uno spartito per canto e piano, la partitura che venne intitolata semplicemente Sakuntala e in tale nuova versione venne presentata al pubblico al Teatro dell'Opera di Roma il 9 gennaio 1952. Oltre mezzo secolo dopo, nell'aprile 2006, negli archivi Ricordi fu rinvenuta una copia della partitura primigenia, ossia della La leggenda di Sakuntala, che venne così riproposta sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti. Pare tuttavia che rimangono significative divergenze fra le due versioni che omettiamo di indagare e approfondire per non tediare i nostri lettori con lungaggini filologiche di confronti e raffronti vari.
La versione andata in scena in prima serata (turno A) mercoledì 16 novembre 2016 al Teatro Massimo Bellini di Catania, con repliche fino al 24, espone proprio la seconda versione che si è avvalsa della regia, delle scene e dei costumi e di Massimo Gasparon. Quest'ultimo ha saputo cogliere dell'opera la sua essenza leggendaria, la sua ipertrofia quasi astorica, il suo profumo ascetico e solenne attraverso il quale profumi ed essenze orientali si dissolvono nell'aria e nell'ambiente circostante come umori ed effluvi, quasi emanazioni di aure e vibrazioni emergenti ed assurgenti da recondite forze psichiche. La musica in verità si fondeva e confondeva con le stupende scene e con gli smaglianti e rifinitissimi costumi, immergendo lo spettatore in una fantasmagoria di luci e di colori che riusciva a proiettarlo e innalzarlo verso un universo fantastico, irreale e quasi onirico.
Silvia Dalla Benetta trasfondeva nell'eponima protagonista tutta la sua maestosa e languida prestanza drammaturgica dalla quale non era assente una traboccante sensualità, unita ad una possanza e tornitura dei suoni che si stagliava nel corso di tutta l'opera e definiva una vocalità appassionata e nello stesso tempo dolce e temperata. Di buon livello anche la prova offerta dal tenore Enrique Ferrer (Il re), artista dalla tempra salda e sicura il quale mai ha mostrato segni di stanchezza o di cedimento nel corso dell'ardua tessitura assegnata al suo ruolo. Il basso Francesco Palmieri (Kanva) con la sua voce stentorea, bronzea e brunita ma nello stesso tempo morbida e vellutata infondeva e profondeva quasi arcane sonorità vibranti di afflato sapienzale. Il mezzosoprano bulgaro Kamelia Kader (Priyàmvada) si è avvalsa di una voce impostata molto bene, evidenziando dinamiche e colori piene di fascino e calore. Spiccava anche il soprano bulgaro Nelya Kravchenko (Anùsuya) per la sua suasiva e attraente interpretazione.
Niksa Bareza ha diretto con sciolta sicurezza e forte tempra lirica l'efficace orchestra del nostro teatro, dalla quale ha saputo trarre luminose veemenze coloristiche e amalgami sonori di effettivo spessore e consistenza emotiva. Molto efficace e penetrante anche la prestazione del coro del nostro teatro, preparato con estrema cura e ricercatezza da Ross Craigmile. Da segnalare anche la buona e raffinata prova offerta dal corpo di ballo istruito da Sebastiano Sicilia e le pregnanti, allusive ed incisive luci di Andrea Borelli.
Giovanni Pasqualino
17/11/2016
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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