RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Salome

alla Fondazione Arena di Verona

La programmazione operistica invernale della Fondazione Arena non brilla per peculiarità di titoli, tuttavia l'opera Salome di Richard Strauss, titolo di chiusura della stagione 2017-2018, rappresenta una brillante proposta. Il libretto deriva dall'omonimo dramma di Oscar Wilde, scritto nel 1892. Strauss utilizza una riduzione ma, quando possibile, riproduce i versi originali. Questo determina un'aderenza tra testo e musica al decadentismo del drammaturgo inglese, al decoro liberty e morboso, dal quale il musicista trae spunti di violenza e ardore, suggestioni truci e oscuri conflitti psicologici. Nell'opera la protagonista è unica, Salome, gli altri personaggi, tra cui alcuni rilevanti come Jochanaan ed Erode, sono di contorno. Salome non rappresenta il desiderio fine a se stesso, ma uno strumento per uscire da se stessa. Il suo avvicinarsi al desiderio-odio per il Battista identifica anche una purezza, tuttavia il non incontro sul terreno affettivo porta alla divisione. Nel lungo monologo finale, o come molti sostengono nel grande dialogo tra la protagonista e l'orchestra, essa ripercorre i sentimenti di una donna romantica resa crudele e spasimante per un amore sconosciuto.

Causa problemi tecnici, non era possibile inserire precisamente la cisterna sul palcoscenico, il previsto allestimento di Gabriele Lavia è stato sostituito con un nuovo spettacolo ideato da Marina Bianchi, con le scenografie di Michele Olcese, i costumi di Giada Masi, le luci di Paolo Mazzon e i movimenti mimici di Riccardo Meneghini. Spettacolo nel complesso convincente poiché con molto garbo e stile la regista individua una drammaturgia erotica con peculiarità non frequenti. Se Salome è un mito femminile trasgressivo e inafferrabile, è l'ambiente in cui vive che la rende prigioniera delle proprie passioni. La corte, capeggiata dalla lussuria della madre e del patrigno, è un luogo senza morale, dove ha forte impulso il bisogno del piacere. Salome non può essere da meno e la richiesta della testa di Jochanaan non è altro che la sublimazione di un piacere non ottenuto. Anche il contorno è idealizzato in tale maniera, azzeccato il rapporto omosessuale tra Narraboth e il Paggio (truccato come Conchita Wurst), gli abitanti del palazzo reale abbigliati in modo leather e calze a rete. C'è anche una ballerina che è il doppio della protagonista, un'amica del cuore, forse amante e solo compagna, e due donne-maschio che danno l'illusione di un mondo saffico. Tanta carne al fuoco ma non sempre ben utilizzata e visualizzata, forse per non osare oltre. Tuttavia il racconto della Bianchi è lineare e i personaggi ben delineati nei loro ruoli, chiari e precisi.

Molto funzionale la scenografia realizzata da Michele Olcese, caratterizzata da un colonnato sulla cui sinistra è posta la cisterna alla quale si accede tramite una scala. Eleganza e stile che rimandano al periodo tedesco d'inizio secolo. Belli i costumi di Giada Masi, nei quali il colore è caratteristico per identificare il personaggio: bianco per Salome e Jochanaan, rosso per Herodes, viola per Herodias. Ben calibrato il disegno luci di Mazzone, molto sviluppato e ricercato il laborioso lavoro di Meneghini, il quale curando i movimenti mimici ha individuato un sensuale e drammatico racconto di gesti, non mancando una visionaria e cruda danza della protagonista.

L'orchestra dell'Arena di Verona era in buona forma, e ha atteso alle direttive di Michael Balke, che per la prima volta dirigeva a Verona e debuttava nel titolo. La sua concertazione è stata molto rilevante, realizzata con un variegato uso dei colori. Tendenzialmente non incline al romanticismo ma forgiando l'orchestra attraverso una fervente vivacità ha saputo anche trovare negli squarci più lirici accenti più che apprezzabili.

Protagonista era Nadja Michael, cantante che del ruolo ha fatto un cavallo di battaglia, l'ultima volta in Italia alla Scala. Purtroppo da quella splendida edizione sono passati dieci anni e adesso le condizioni vocali della signora Michael sono notevolmente peggiorate. La voce tipicamente da mezzosoprano non è più uniforme, i gravi e il centro ancora accettabili ma il registro acuto è tutto sfogato, per non dire urlato. Resta inalterata la grande presenza scenica, nella quale dimostrava una sensualità innata, anche sorretta da un fisico eccezionale, e allo stesso tempo selvatica e sanguinea nei momenti più tesi. Ma è un po' poco.

Molto buona la prova di Fredrik Zetterstrom, un Jochanaan con bella voce e molto musicale, rifinito in tutti registri e con buon fraseggio. Apprezzabile l'Herodes di Kor-Jan Dusseljee, interpretato in maniera viscida, di forte impatto teatrale e ben realizzato vocalmente. Autorevole e sinistra Anna Maria Chiuri che disegna una Herodias di forte impatto scenico supportata da una rilevante prova vocale.

Bravo Enrico Casari, un Narraboth di luminosa vocalità, e molto interessante la prestazione canora di Belen Elvira, un paggio che non passa inosservato. Buona la prova dei cinque Giudei, Nicola Pamio, Pietro Picone, Giovanni Maria Palmia, Paolo Antognetti, Oliver Purckhauer, un quintetto ben amalgamato. Ottima la prova dei due Nazzareni, Stefano Consolini e Romano Dal Zovo, quest'ultimo perfettamente incisivo nel suo intervento. Completavano la locandina degli ottimi professionisti come Costantino Finucci e Gianfranco Montresor (due Soldati), Alessandro Abis (uomo della Cappadocia) e Cristiano Olivieri (uno schiavo).

Teatro non affollato, come solitamente accade a Verona, ma al termine non è mancato un successo pieno a tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

2/6/2018

Le foto del servizio sono di Ennevi-Arena di Verona.