RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Barcellona

Una bella mugnaia alquanto riflessiva

Avevo già ascoltato André Schuen l'estate scorsa alla Schubertiada di Vilabertran (Nord della Catalogna), ma non avevo avuto occasione di occuparmi di lui in una recensione. Allora mi aveva impressionato fortemente, e credo che l'origine di famiglia (ai confini dell'Italia e l'Austria, due lingue che parla alla perfezione più il ladino) lo faccia particolarmente adatto per il repertorio da camera, sia in tedesco sia in italiano, ma anche un certo tipo di opere (Mozart naturalmente) ma finora, e in particolare a Vienna, mi è sempre sfuggito. C'è poi da lodare la bellezza del timbro, uguale in tutti i registri, e con un'estensione che non posso giudicare con parametri operistici ma che in questo repertorio non ha troppa importanza.

Neanche in quel momento mi aveva entusiasmato allo stesso modo il suo accompagnatore fisso – ci sono anche dei dischi con loro due, tra i quali, e con ottime recensioni, questo di cui mi occupo qui. Daniel Heide mi sembra sempre (con tante scuse) pianista molto attento e corretto, ma l'ispirazione non gli si presenta spesso, e per di più i tempi (sicuramente il baritono sarà d'accordo) sono difficili da capire (una decina di minuti in più della media normale sono tanti).

E così la versione ascoltata presso l'Auditorium di Barcellona (alla sala piccola, Oriol Martorell, ideale per camera) del ciclo Die schöne Müllerin di Schubert rimane come qualcosa di molto particolare, di una bellezza vocale straordinaria (le mezzevoci per niente sbiancate o in falsetto come vuole la migliore tradizione tedesca), molto intimista (non ho niente contro), ma in alcuni momenti (e dal mio punto di vista grazie al pianoforte) parecchio anemica (mai mi è dato sentire un Wohin? così poco irrequieto), di una lentezza che non sempre è d'accordo con il testo dei poemi e ancora meno, ad esempio, con Ungeduld. Comunque sia, e malgrado la bellezza e la verità dell'interpretazione vocale è un fatto che per la prima volta le venti canzoni qua e là mi parevano alquanto lunghe o prive di struttura, e menomale che nelle più concitate Heide usciva dal letargo. Per fortuna questa particolarità si addiceva a due dei numeri finali, molto belli anche se non proprio splendidi come potevano essere: Der Müller und der Bach e Des Baches Wiegenlied. Il pubblico, numeroso per la circonstanza (c'era anche un tempo cattivissimo), si mostrava attento e a fine concerto applaudiva con grande entusiasmo, forse anche per far dimenticare un cellulare che suonò e ‘parlò' durante lunghi secondi. Magari è segno (non buono) del ritorno a una normalità che ci avevano detto non sarebbe più tornata.

Jorge Binaghi

5/4/2021

La foto del servizio è di Silvia Pujalte.