La luminosa senilità di Blomstedt Il grande direttore svedese a Santa Cecilia
Depositario di una scienza musicale enorme, Herbert Blomstedt è certo fra i massimi direttori viventi. Lo sguardo sereno di chi ha attraversato decenni sempre ai massimi livelli, il corpo fiaccato da una caduta ma non domo, fragile e nel contempo pervaso da un'aura di sacrale autorità, il gesto parco e preciso, in grado di dominare l'orchestra come pochi sanno fare. Le mani disegnano nell'aria traiettorie incantatrici, come se un vecchio stregone si fosse appena destato per irradiare la sala della sua magia. Il suono scaturisce dall'orchestra con precisione cristallina, guidato da uno sguardo, da un impercettibile movimento delle dita. Ne risulta una Terza di Schubert pregna di affettività e dinamismo, pervasa da luminismi tipicamente mediterranei. Il primo movimento, dall'afflato rossiniano, delinea l'immagine di uno Schubert ancora adolescente ma già padrone dei propri mezzi espressivi. L'incontro fra esuberanza giovanile e senilità sfocia in un'esecuzione di palpitante vitalismo, che culmina nella tarantella conclusiva. La danza, nella sua duplice veste di richiamo rustico e colto, innerva anche l'estetica bruckneriana, in una particolare alchimia con la dimensione naturalistica. La Quarta, nella sua maestosità espositiva, conserva un atteggiamento pensoso che Blomstedt restituisce senza mai ripiegare in un intimismo solipsistico. La natura esplode in una pioggia di luce che irradia il tessuto sinfonico. Se il richiamo a Schubert è evidente nel lirismo dell'Andante, quasi allegretto, altrove Bruckner mostra tutta la sua fiabesca, siderale distanza dall'umano. Lo Scherzo echeggia di corni misteriosi, che evocano cacce e gesta cavalleresche remote, perse in lande leggendarie. Di questo mondo astratto e sfuggente Blomstedt è magnifico interprete. L'Orchestra dell'Accademia lo segue con devozione e coinvolgimento totali.
Peccato che il pubblico di S. Cecilia, sempre frettoloso nel tributare il pur dovuto plauso al termine dell'esecuzione, non abbia saputo attendere la lenta discesa del gesto conclusivo, quell'attimo di sospensione fra il raggiungimento dell'empireo e il ritorno alla dimensione terrena che è caratteristica distintiva delle grandi esecuzioni.
Riccardo Cenci
20/5/2023
La foto del servizio è di Musacchio&Ianniello.
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