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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

A tutto Schubert

L'inaugurazione della stagione concertistica 2022/23 del Lingotto di Torino

Riferire del primo concerto della stagione 2022/23 del Lingotto di Torino, martedì 11 ottobre 2022, significa anche riferire di una svolta al vertice della direzione artistica di Lingottomusica. Svolta imposta dalla scomparsa, l'8 luglio scorso, di Francesca Gentile Camerana, che ha obbligato a forzare le tappe di un passaggio di consegna pensato per i prossimi anni, in cui a Francesca avrebbe dovuto succedere il dott. Luca Mortarotti al termine di un percorso di affiancamento. Il passaggio di consegna è avvenuto: ma in maniera, se non del tutto inaspettata, quanto meno repentina.

Nata a Londra nel 1939, Francesca Gentile, nipote del più famoso Giovanni, mostra fin da giovane una grande propensione per la musica e intraprende gli studi di chitarra classica e flauto traverso. Il matrimonio, nel 1962, con Oddone Camerana, intellettuale, scrittore, manager e pubblicista della Fiat di quegli anni (a sua volta venuto a mancare pochi mesi dopo, il 5 settembre di quest'anno) la porta a Torino, dove, tra le altre cose, fonda prima la De Sono, nel 1988, con l'aiuto di Luigi Nono, e poi I Concerti del Lingotto, inaugurati il 6 maggio 1994 da Claudio Abbado alla testa dei Berliner Philarmoniker. Sul palco dell'Auditorium Giovanni Agnelli, progettato da Renzo Piano, si sono da quella data succeduti direttori del calibro di Rattle, Muti, Gatti, Chung, ecc. E, se all'inizio del concerto del 22/01/2014 la stessa Francesca chiese un minuto di silenzio in piedi per il defunto Abbado, per Francesca, martedì, è risuonato un lungo applauso nel “suo” Lingotto, nel “suo” auditorium, applauso che avrebbe di gran lunga preferito al silenzio.

Il primo concerto dell'ultima stagione firmata da Francesca è tutto dedicato a Franz Schubert, con Jordi Savall alla guida dell'Orchestra Le Concert des Nations: Ottava e Nona Sinfonia, l'Incompiuta e La grande. Si tratta di due grandi sinfonie, le ultime cui Schubert pose mano, curiosamente avvicinate da un destino di ripescaggio fortuito. La prima, del 1822, consta dei due soli movimenti iniziali, un Allegro moderato e un Andante con moto (più 128 battute dello Scherzo); interrotta senza un'apparente ragione valida, venne consegnata ad Anselm Hüttenbrenner e da questi tenuta nascosta per più di quarant'anni, finché non venne riscoperta da Johann Herbeck e diretta per la prima volta nel 1865. La seconda, stavolta completa, del 1825-28, dopo un paio di rifiuti da parte della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna, finì in un cassetto del fratello del compositore, Ferdinand, e lì ritrovata da Robert Schumann nel 1839 in occasione di una visita di cortesia; verrà eseguita per la prima volta nello stesso anno sotto la direzione di Mendelssohn.

A ottant'anni passati, con sorprendente vitalità, Savall si mostra pienamente in grado di offrire interpretazioni convincenti degli ultimi due lasciti sinfonici schubertiani. Si parte con l'Incompiuta, ove l'eleganza e l'equilibrio sono le cifre distintive della lettura. Agogica rilassata per il primo movimento, ove l'Allegro è davvero moderato, cosa che modella il pezzo su un andamento narrativo, come lo svolgersi di un racconto; eleganza ed equilibrio che non impediscono alla sinfonia, sotto la bacchetta del catalano, di accalorarsi nelle impennate concitate dello sviluppo, benché sempre sotto un attento controllo dell'insieme. Bene anche il secondo movimento, mosso ma non agitato, nel solco del primo quanto a tornitura delle linee melodiche e chiarezza di espressione.

All'intervallo, due parole con la dott.ssa Valentina Crosetto, responsabile dell'ufficio stampa fresca di nomina, che conferma la volontà di Mortarotti, per ora, di mantenere l'impronta di chi l'ha preceduto quanto a impostazione della stagione: pochi concerti ma ben scelti, con collaborazioni illustri, solisti d'eccezione, orchestre prestigiose, repertorio in grado di offrire varietà di generi per venire incontro a gusti differenti: a novembre, per esempio, John Eliot Gardiner con musiche di Carissimi, Monteverdi, Purcell e Domenico Scarlatti, poi un'immersione magiara per festeggiare il centenario della nascita di György Cziffra (1921-1994). Poi chissà? Forse ci sarà spazio per concerti di beneficienza, iniziative didattiche sociali. Staremo a vedere.

Pochi minuti e si è pronti per La grande, che reca, nella lettura di Savall, capovolgendo le impressioni sull'Incompiuta, l'impronta della speditezza, dell'immediatezza, quasi dell'urgenza espressiva, con tempi molto veloci e sostenuti: tratto che, pur garantendo una visione d'insieme più unitaria a questa sinfonia dalla costruzione fluviale – non più basata sulla principio di opposizione tematica della forma-sonata di stampo classicistico-beethoveniano ma su quello di una continuità liquida, discorsiva, con temi che senza contrapporsi sfumano l'uno nell'altro –, non si esime dal conferirle un carattere nervoso, scattante, in certi casi vorticoso, come nel tour de force del finale, finendo per frastornare l'ascoltatore rovesciandogli nelle orecchie tutta la pienezza di suono di cui si nutre. Scritta al culmine della maturità compositiva di Schubert, arricchita nell'organico da tre tromboni, cosa ancora insolita all'epoca, La grande soffre un po' di un horror vacui strumentale, l'orchestra è impiegata sovente in modo massiccio, con un preponderanza dei pieni sui vuoti. L'acceso vitalismo instillato da Savall esacerba questo carattere di pienezza e, soprattutto nel primo e quarto movimento rischia, affastellando le sonorità, di incrinare la tersa e cristallina trasparenza conferita quasi sempre al tessuto orchestrale lungo tutto il concerto, nel quale, a onor del vero, a parte gli exempla riportati, l'espressività è data dall'intellegibile intervento delle singole sezioni, come delle parti solistiche.

Nota a parte merita il caratteristico timbro de Le Concert des Nations, fondata nel 1989 da Savall stesso e da sua moglie. Gambista e violoncellista di formazione, Savall ha deciso di «disporre di una formazione con strumenti d'epoca capace di interpretare un repertorio che spaziasse dal periodo barocco al romanticismo» (dal programma di sala): ecco allora i tromboni che non peccano di protagonismo ma si fondono coi corni naturali, con tanto di ritorte da mettere e togliere, le trombe dal timbro più squillante, gli oboi più aspri, quasi striduli, flauti e clarinetti che tendono a somigliarsi. E gli scivoloni sono dietro l'angolo: i corni che stentano all'inizio della Grande, qualche stecca delle trombe… venialità, certo, scusate dal fatto che un'esecuzione come questa rende più realisticamente quanto Schubert potrebbe aver concepito. Degna di encomio tutta la sezione degli archi, per la fluida mobilità nell'Allegro vivace conclusivo e la souplesse con cui scivolano verso la fine, per compattezza e per nettezza di resa dei pizzicati, per la maestria con cui diventano rudi compagni di gioco nello Scherzo. E un encomio a tutte le prime parti è arrivato dal pubblico, che ha potuto essere informato di nome, cognome e nazionalità di ciascuna, dette da Savall microfono alla mano. A ciascuna un piccolo applauso personalizzato.

A fine concerto, il secondo movimento dell'Italiana di Mendelssohn nella versione del 1834 giunge come fuori programma dopo un breve (e retorico) discorso di Savall in perfetto italiano.

Christian Speranza

15/10/2022

La foto del servizio è di Pasquale Juzzolino.