Alla scoperta di Schubert
Franz Schubert, com'è noto, fu un compositore estremamente prolifico: quasi mille numeri di catalogo, tra opere compiute, abbozzi e lavori non finiti. Ma, se in vita il suo talento venne poco o punto riconosciuto, provvidero i posteri a disseppellire il tesoro della sua produzione (un esempio per tutti: la riscoperta dell' ”Incompiuta”, trentasette anni dopo la morte dell'autore, da parte di Johann von Herbeck, nel 1865); e si continua a provvedere ancora oggi, scavando anche tra le note… meno note, ma non per questo meno pregevoli.
Si sono mosse su questa linea due istituzioni musicali torinesi, l'Accademia Corale Stefano Tempia e la De Sono Associazione per la Musica , che, nelle serate di lunedì 30 (per la Stefano Tempia) e martedì 31 marzo 2015 (per la De Sono , di cui si riferisce), hanno presentato al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Torino un programma tutto schubertiano: il più conosciuto Quartetto in re minore “La Morte e la Fanciulla” D 810 (arrangiato per orchestra d'archi da Gustav Mahler nel 1894) e la meno famosa Messa in sol maggiore per soli, coro e archi D 167.
Sotto la direzione di Guido Maria Guida, l'Orchestra d'archi De Sono e il Coro dell'Accademia Stefano Tempia hanno dato avvio alla serata con la Messa D 167, lavoro di un Franz diciottenne (marzo 1815) secondo per tipologia di composizione (il primo era stato la Messa in fa maggiore D 105, del 1814), debitore per molti aspetti ancora alle Messe di Michael Haydn, fatte apposta per soddisfare il gusto di un pubblico che non voleva smuovere dubbi nella sua fede, ma piuttosto trovare una conferma delle sue certezze nella musica. L'organico ridotto, limitato ai soli archi, e la breve durata denunciano che si tratta di una Messa molto pratica ai fini liturgici, ancora distante dal capolavoro sacro dell'ultimo Schubert, la Messa in mi bemolle maggiore D 950, le cui proporzioni e il cui organico la rendono più adatta ad un'esecuzione da concerto più che da chiesa, e che le conferiscono lo status di meditazione sul trascendente; pure, in quella che potrebbe essere vista come una sterile esercitazione giovanile, è già possibile cogliere qua e là l'estro di un compositore che non avrebbe tardato molto a manifestarsi con i veri “pezzi forti” della sua produzione.
I solisti Nadia Kuprina (soprano), Filippo Pina Castiglioni (tenore) e Devis Longo (basso) hanno completato l'organico della Messa. La prima (già interprete di I Lie di David Lang per la colonna sonora della Grande bellezza di Paolo Sorrentino nel 2013) è dotata di una voce di gola dal timbro caldo. La partenza è buona, con un Kyrie relativamente sicuro e ben intonato; meno convincente invece la conclusione, quando, negli acuti dell'Agnus Dei, l'emissione cala di volume e la voce tende a stridere. Il secondo è un tenore leggero dal timbro chiaro, non troppo squillante, che si disimpegna nel ruolo nonostante qualche incertezza, e che trova modo di emergere nel Benedictus. Il terzo è più un baritono che un basso, dato il timbro; volume corposo, e interpretazione accorata, Longo rappresenta, a giudizio dello scrivente, il più convincente dei tre solisti.
Il Coro dell'Accademia Stefano Tempia, diretto da Dario Tabbia, si presenta ben amalgamato e compatto. Le voci femminili prevalgono su quelle maschili, e, nonostante le dimensioni modeste, il volume è di buona potenza.
L'Orchestra d'Archi De Sono, con Alessandro Moccia primo violino concertatore, riesce nell'intento di servire a dovere le voci sia del coro, sia dei solisti, garantendo il sostegno armonico necessario senza eccessivo protagonismo. Ma, se nella prima parte del concerto sa mettersi da parte per far emergere le voci, nella seconda parte, con l'esecuzione del Quartetto D 810, diventano i protagonisti.
“La Morte e la Fanciulla”, del 1824, deve il suo sottotitolo alla serie di variazioni, nel secondo movimento, che riprendono l'omonimo Lied composto da Schubert stesso nel 1817 su testo del poeta Matthias Claudius, ed espande il contrasto fra due temi, uno più ruvido, la Morte , e uno più dolce, la Fanciulla.
In piedi, senza direttore, gli archi della De Sono (privati di qualche elemento) si fanno subito notare per la compattezza e la robustezza degli assoli di apertura. Il primo movimento è condotto senza troppo slancio, con un Allegro che non partecipa troppo della vita propria e dei sussulti interni dello sviluppo. Lo standard di esecuzione di alza decisamente con secondo movimento, l'origine di tutto il Quartetto, in cui si avverte una maggiore personalità dell'orchestra, un suono più responsabile, caratterizzato da un'apprezzabile distinzione dei piani sonori e dalla diversa sfumatura conferita alle singole variazioni. Deciso e rude lo Scherzo, in terza posizione, che ricorda da una parte il ritmo wagneriano del lavoro dei Nibelunghi, dall'altra l'inizio dello Scherzo della Nona Sinfonia di Beethoven. Infine, il Presto, la cui fisionomia ricorda il Saltarello dell'”Italiana” di Mendelssohn, risulta leggero all'ascolto e dotato di verve giovane e vitale, proprio come gli strumentisti chiamati ad eseguirlo. La De Sono sostiene infatti ogni anno nuovi studenti grazie a borse di studio (dal 2015 conferite sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica) che sono anche il ricavato di serate a offerta libera come la presente Le “Borse di studio del pubblico” vengono assegnate a «promettenti musicisti piemontesi, o che abbiano svolto parte dei loro studi in Piemonte, che intendono ampliare le proprie conoscenze musicali e completare la propria formazione frequentando corsi di specializzazione nazionali e internazionali» iniziativa lodevole, alla quale siamo chiamati tutti a partecipare, per motivi che trascendono le ragione puramente pratica e venale e che s'innalzano a servire quella contemplazione disinteressata dell'arte
che già Schopenhauer indicava come una delle poche vie per sfuggire al tedio e al dolore della quotidianità.
In risposta agli applausi scroscianti, ancora un bis prima di essere congedati: la prima parte dello Scherzo, ancora una volta magistralmente eseguita.
Christian Speranza
17/4/2015
Le foto del servizio sono di Pasquale Juzzolino.
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