Il diario di uno scomparso e La voix humaine
al Teatro Malibran di Venezia
Da alcuni anni il Teatro La Fenice ci ha abituato alla proposta di dittici, serate in cui sono rappresentati due lavori operistici o dello stesso autore o con tematiche simili. Quest'anno è il caso di Zápisník Zmizelého (Il diario di uno scomparso) di Leoš Janácek e La voix humaine di Francis Poulenc. Il diario di uno scomparso non è propriamente un'opera lirica, bensì un ciclo di liriche composte tra il 1917 e il 1919 che rivestono un carattere simile all'opera solo per la carica drammatica, infatti raccontano la vicenda del giovane Jan, contadino introverso e religioso, e della sua ammaliatrice, la zingara Zefka. La Voix humaine invece è una tragedia lirica tratta dall'omonima pièce teatrale di Jean Cocteau, e narra dell'ultima conversazione telefonica di una donna con l'amato che ha deciso di lasciarla, rievocando i cinque anni passati assieme. Il trait d'union delle due opere è l'abbandono ma visto da prospettive diverse. Nella sequenza lirica di Janácek il giovane Jan abbandona, non senza tormento, una vita contadina di solide tradizioni per fuggire verso un nuovo destino, una vita diversa da quella tradizionale anche imposta dalla famiglia, senza timori ma con passione poiché l'amata l'ha reso anche padre. Ne La voix humanine la donna è parte di un dialogo telefonico a senso unico, poiché non si sentono le risposte dell'uomo, e frammentato dal continuo disturbo della linea telefonica, circa la disperazione dell'unica protagonista, sola in scena con il telefono, abbandonata dall'amante.
Temi forti, in parte attuali, drammatici e per nulla scontati. A Venezia il regista Gianmaria Aliverta, consapevole che l'amore è il sentimento che lega i due brevi lavori, decide che diventeranno dramma musicale unitario attraverso una “lente” speciale nella quale li ha voluti leggere. Operazione ardua e non riuscita, almeno per chi scrive. Nel primo atto di Janácek si assiste inizialmente alla scena di una donna piangente (quale?) e alla perquisizione di una da parte di un poliziotto intento a cercare le prove che giustifichino la scomparsa di Jan. Parallelamente si vede una coppia di mini, in apparenza due sposati, che dormono in un letto matrimoniale. Da questi l'uomo fugge di nascosto per incontrarsi con la zingara e poi dedicarsi alla passione con lei. È la linea principale che non condivido, il giovane Jan è già sposato? O convive con un'altra donna? Questo punto di vista non coincide né con il carattere della vicenda né con il comportamento del giovane. La donna è la stessa che piange all'inizio, eventualmente dovrebbe essere la madre o la famiglia a disperarsi per la sua scomparsa. In aggiunta la giovane zingara è abbigliata come una prostituta da marciapiede, scelta troppo azzardata e logora come intenti.
Nella seconda parte la telefonata, che si svolge attraverso un cellulare (poco pertinente perché nel testo c'è anche un breve colloquio con la centralinista) nella sala d'attesa di un ipotetico pronto soccorso. La donna ha una flebo al braccio, un calmante per il suo elevato stato d'ansia, e per i quaranta minuti della vicenda interagisce con l'amato dall'ospedale, talvolta aiutata dalle infermiere. Solo al termine si capisce che il suo amato è lo stesso Jan dell'opera precedente che lei uccide per non essere lasciata, rientra lo stesso poliziotto del primo atto che ha scoperto il delitto e prima di poter arrestare la donna questa si toglie la vita con un colpo di pistola. Pertanto tutto il colloquio era una sorta di dramma in stato di delirio. Tale posizione registica è assolutamente fuorviante poiché l'abbandono non può essere capovolto in omicidio, i caratteri del testo sono ben chiari. Tuttavia, sarebbe ingiusto non valutare l'operazione anche come uno studio e una ricerca personale che però inevitabilmente sfocia nel paradossale. Ottima la recitazione sia dei cantanti sia del mimo, anzi quest'ultimo, Francesco Bortolozzo, di una bravura strepitosa. Funzionali le scene di Massimo Checchetto, costituite da un interno di abitazione moderna molto lineare, e bellissimi i costumi di Carlos Tieppo.
La parte musicale invece è stata di elevata professionalità. Le liriche di Janácek sono state accompagnate magistralmente al pianoforte (seminascosto da una tenda) da Claudio Marino Moretti, maestro del Coro della Fenice. Jan era Lonardo Cortellazzi, un tenore sempre in ascesa. Voce squillante e duttile, ha reso alla perfezione la difficoltosa parte, con ampia varietà di accenti e nessuna sbavatura nel registro acuto. Ottima la prova seppur breve anche di Angela Nicoli, la zingara, voce profonda e molto espressiva.
Nell'opera di Poulenc abbiamo avuto l'ottima direzione di Francesco Lanzillotta, che ha scavato con maestria la difficile partitura, rendendola in maniera efficace soprattutto nelle tinte e nei colori, forti ed emozionanti. Ottima prova anche dell'orchestra che ha seguito le istruzioni del podio. Strabiliante sia la prova attoriale sia canora di Angeles Blanca Gulin, cantante immedesimata nel ruolo ad alta tensione drammatica con risultati a dir poco eccezionali.
Pubblico poco numeroso quello accorso al dittico, interessante e poco rappresentato, ma molto caloroso di applausi al termine.
Lukas Franceschini
21/10/2015
Le foto del servizio sono di Michele Crosera.
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