Semiramide
all'Opera di Firenze
La stagione d'Opera 2016-2017 al Teatro d'Opera è stata inaugurata con Semiramide di Gioachino Rossini, un titolo che fino a pochi anni fa era molto rappresentato, ora invece è da considerarsi “rarità”. Semiramide era caduta nell'oblio ancora alla fine del secolo XIX quando le voci di contralto specializzate nel repertorio d'agilità sparirono dal panorama teatrale. Fu proprio Firenze nel 1940 durante il 6° Maggio Musicale Fiorentino a proporre il titolo, in maniera pioneristica, con un cast di validi cantanti ma de tutto estranei a quello che in seguito sarà denominata Rossini-Renaissance : Gabriella Gatti, Ebe Stignani, Ferruccio Tagliavini, Tancredi Pasero. Sarà invece il grande soprano australiano Joan Sutherland a riproporre il titolo, alla Scala nel 1962, e poi a cantarlo spesso in coppia con Marilyn Horne, ripristinando uno stile consono e forse insuperato. Non mancarono anche altri interpreti d'elevato spessore nel corso di circa tre decenni, duranti i quali l'opera è stata nei cartelloni di tutto il mondo. Semiramide è un melodramma tragico in due atti su libretto di Gaetano Rossi, tratto dalla Tragédie de Sémiramis di Voltaire e dalla vita della regina Semiramide. Fu rappresentata in prima assoluta al Teatro la Fenice di Venezia il 3 febbraio 1823 con Isabella Colbran nel ruolo della protagonista. È l'ultima opera che Rossini compose espressamente per palcoscenici italiani, prima del suo trasferimento a Parigi.
A Firenze è stato ripreso uno spettacolo di Luca Ronconi, creato per il San Carlo di Napoli nel 2011, anche con l'intento di ricordare il regista, da poco scomparso, che con il Maggio Musicale ebbe una stretta collaborazione dal 1976 al 2014. Trattasi però delle non migliori realizzazioni di Ronconi, che in questa Semiramide cancella volutamente tutta la fastosità di Babilonia, creando piuttosto un ambiente intimo e sviluppato sugli aspetti personali degli interpreti. Avrebbe potuto forse essere una chiave di lettura funzionale, ma è del tutto estranea rispetto alla vicenda e alla musica di Rossini. Inoltre, il regista era sempre stato infastidito dal coro, anche alla Scala in occasione di Aida lo voleva relegare nei palchi di proscenio, qui a Firenze è collocato in buca, facendo mancare alla drammaturgia l'aspetto monumentale non secondario. Anche la scena povera e scarna, di Tiziano Santi, non affascinava, piuttosto annoiava, i costumi di Emanuel Ungaro, in parte diversi, a Napoli la protagonista aveva un busto di plastica che la mostrava come fosse a seno nudo, ora invece completamente rivestita, non lasciavano traccia, troppo anonimi, troppo uguali. Infine della regia non c'è grande traccia, non abbiamo visto un disegno drammatico che definisca il carattere, le pulsioni almeno dei quattro protagonisti, tutto era relegato alla mobilità, con due fastidiosi cubi mobili che spostavano i cantanti da una parte all'altra del palcoscenico. Durante le quattro ore della rappresentazione era la noia che prevaleva rispetto all'entusiasmo per la musica.
Stefano Ragni intitola il suo saggio nel programma di sala “Senza primedonne non si cantan Semiramidi”. Non v'è titolo più indicativo per far comprendere le difficoltà per allestire quest'opera. A Firenze le due primedonne non c'erano, anche se è giusto rilevare che oggigiorno trovare un cast adeguato è ardua impresa.
Jessica Pratt, la protagonista, ha dalla sua una buona musicalità, una spiccata predisposizione al canto virtuoso e fiorito, qualità che abbiamo avuto modo di apprezzare in questi anni recenti. Ma Semiramide è tutt'altra cosa. Innanzitutto, non è solo un personaggio virtuoso ma è altrettanto drammatico e con accenti che necessitano un canto incisivo nel grave e un accento solido, qualità che la Pratt non ha di natura e cantando un ruolo totalmente spostato dal suo reale repertorio. Ne deriva una prestazione anche apprezzabile ma con rendimento dimezzato poiché solo nei passi sopracuti abbiamo sentito la cantante, nelle altre zone era spesso afona o coperta dai colleghi nei concertati, cui va aggiunto un fraseggio faticoso e scarsamente vibrante.
Silvia Tro Santafé avrebbe dovuto essere l'altra primadonna, ovvero Arsace, ma anche in questo caso i risultati non stati apprezzabili. Più diligente della Pratt, ma con meno personalità, ha realizzato il suo compito con una certa padronanza timbrica, ma la voce è piena solo nel centro, le discese nel grave erano abbozzate e nel settore acuto i limiti erano evidenti, della belcantista rossiniana virtuosa c'era ben poco.
L'Assur di Mirco Palazzi affronta un ruolo oltre il limite delle sue possibilità, poiché a parte il timbro bello, non possiede lo squillo, il volume e perizia tecnica sufficiente per l'ardua parte. Tali effetti si sono notati soprattutto nella grande aria del secondo atto, nella quale l'arioso era anche apprezzabile, ma la cabaletta l'ha messo in evidente difficoltà, sia per l'utilizzo dei fiati sia per il virtuosismo, dovendo chiudere il brano a malo modo e in maniera pasticciata.
Juan Francisco Gatell è stato un decoroso Idreno. Molto migliore rispetto a un suo recente Barbiere pesarese, ha difettato solamente negli estremi acuti, ma la voce è bella, sufficientemente variata, molto musicale ed espressivo. Nel complesso una prova positiva.
Corretto l'Oroe di Oleg Tsybulko, voce piena e molto incisiva, senza note particolari gli altri interpreti: Tonia Langella, Azema, Andrea Giovannini, Mitrane, e Chanyoung Lee, l'ombra di Nino.
Se il cast non era eccellente, la vera sciagura di questa produzione era il direttore Antony Walker, un maestro concertatore di grande curriculum ma che con Rossini ha poco da spartire. Si comincia con una sinfonia, anche impersonale, ma pregevole, passando poi improvvisamente a una direzione lenta, slegata, e per nulla teatrale. Di questo ne hanno fatto le spese non solo il pubblico, che sarebbe potuto cadere in letargo, ma soprattutto i cantanti, i quali già di suo avevano i loro problemi cui il mancato sostegno del direttore ha contribuito alla resa poco felice della recita. Inspiegabilmente nel finale, come in un improvviso risveglio, concertava con tempo di cabaletta il magnifico terzetto “L'usato ardir”, rovinando la preziosa pagina. Da segnalare che poteva contare sull'ottimo organico orchestrale del Maggio Musicale Fiorentino e sul bravissimo Coro diretto da Lorenzo Fratini.
Un'occasione mancata e piuttosto noiosa, tuttavia al termine il pubblico ha salutato i cantanti con calorosi applausi, mentre al direttore è stata riservata una pesante e meritata contestazione.
Lukas Franceschini
14/10/2016
Le foto del servizio sono di Simone Donati-Terra Project-Contrasto.
|