RECENSIONI
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Piacenza

Il ritorno di Ernani

Verdi e Piave identificavano correttamente nell'Ernani di Victor Hugo (con la sua famosa ‘battaglia' durante la prima a Parigi che era stato qualcosa come l'atto di nascita del romanticismo) un soggetto nuovo e forte con in più un aspetto patriotico. Vedere ricomparire l'opera in uno di quei meravigliosi teatri di provincia (termine senza un'ombra di giudizio negativo) che fanno ancora dell' Italia motivo d'invidia e con il debutto nel ruolo del protagonista di un tenore tra i maggiori dei nostri giorni suscitava sia interesse che gioia. Durati pochissimo.

La direzione musicale di Alvise Casellati e quella scenica di Gianmaria Aliverta facevano perdere ogni speranza di recuperare in forma stabile il titolo.

Il pubblico, certo, applaudiva, e tutto sommato la sala, se non piena, mostrava un aspetto allettante. Ma…cosa si applaudiva? Una lettura di quelle che danno ragione a chi dice che l'orchestrazione di Verdi in quell'epoca era di pura banda (l'orchestra non era colpevole di certo), un coro (istruito da Corrado Casati) che ho sentito meglio altre volte, e un allestimento scenico non so se più ridicolo o stantio (magari entrambe le cose) che riusciva a far pensare in termini non atroci –com'era il caso- a quell'orrore combinato da Sven-Eric Bechtolf alla Scala tre anni fa.

Gregory Kunde si presentava per la prima volta nei panni del bandito-conte-duca. In questo momento della sua gloriosa carriera può risultare più rischioso che una recita di Otello (Verdi o Rossini), parti che ha imparato a dominare da tanto tempo. Infatti si avvertivano di più i problemi (il colore non era per niente omogeneo, e la voce oscillava se messa sotto pressione) che non i pregi (grandissima tecnica, stile, classe, espressività bruciante): vero è che era in grado ancora di sbalordire in molti momenti della tremenda aria alternativa (quella scritta per Ivanov a richiesta di Rossini, ‘Odi il voto' con anche la sua non facile cabaletta) che chiude l'atto secondo. Il pubblico lo premiava e sicuramente a ragione visto che almeno lui non canta da baritono o basso.

Francesca Dotto non ha le carte in regola per Elvira: il grave è inesistente, il centro opaco, acuto buono ma tagliente e le agilità non sembravano facilissime. Il re Carlo, per molti il personaggio più riuscito tra i principali, era Ernesto Petti, voce molto interessante ma che per ora si compiace nella dimostrazione di volume ed estensione, ma quando deve cantare piano sembra che questo voglia dire ‘abbassare' la voce e sbiancarla. Nessuno andava molto aldilà di un'interpretazione generica e convenzionale. Bene, ma non talmente da spiccare, il basso Evgeny Stavinsky (un po' nasale e con qualche acuto al limite) nel ruolo di Silva. Tra gli altri spiccava Alessandro Abis, una voce da seguire, come Jago. Gli altri erano Raffaele Feo (Don Riccardo) e Federica Giansanti (Giovanna).

Jorge Binaghi

28/12/2021

La foto del servizio è di Giampaolo Parodi.