RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Simon Boccanegra

chiude la stagione del Teatro Sociale di Rovigo

Interessante chiusura della rassegna Lirica al Teatro Sociale, che celebra la 200ª Stagione, con la rappresentazione dell'opera Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi. L'opera fu commissionata dal Teatro La Fenice di Venezia e rappresentata nel 1857 con scarso successo, poche le riprese successive e lo spartito fu messo in un cassetto. Intorno al 1880 Verdi fu convinto dall'editore Ricordi di rimettere mano al Simone, convinto l'editore che si poteva recuperare un titolo di grande spessore, Verdi si persuase facilmente poiché aveva sempre amato questo lavoro. Il rifacimento del libretto fu affidato ad Arrigo Boito, impegnato al tempo anche nella stesura del successivo Otello. Celeberrima la frase “… convengo che il tavolo è zoppo, ma aggiustando qualche gamba credo potrà reggersi… a me pare che nei personaggi di Fiesco e Simone c'è qualche cosa da trarne buon partito”, che Verdi indirizzò al librettista. In effetti, il taglio della prima edizione era veramente tetro, cupo e troppo drammatico, anche se con pagine di grande valore. La revisione, che sarà poi denominata del 1881, trova una drammaturgia meno lugubre e più funzionale, con l'aggiunta della gran Scena del Consiglio, pezzo forte per il protagonista. In questa nuova veste l'opera trionfò al Teatro alla Scala e da allora riprese lentamente un cammino che oggi potremmo definire di “repertorio”, tuttavia sovente la difficoltà è di reperire cantanti adatti alle difficili parti. Resta indiscusso il valore sia teatrale-intimistico sia vocale del protagonista, ma tutte le altre figure, Amelia, Fiesco, Gabriele, hanno modo di emergere in maniera rilevante, non da ultimo ricordiamo la figura di Paolo che potremmo definire un antenato di Jago. Quando si rappresenta Simon Boccanegra, è prassi eseguire sempre la seconda versione, e così è stato anche a Rovigo, nel nuovo spettacolo coprodotto con Lucca, Livorno e Pisa.

L'allestimento è ideato nella regia da Lorenzo Maria Mucci, il quale firma una convenzionale drammaturgia. È vero che l'opera è molto difficile nella “narrazione”, ma non ho rilevato un particolare scavo psicologico nei personaggi, solo un racconto didascalico senza grandi pretese e sobrio. Molto azzeccate invece le scene di Emanuele Sinisi, le quali seppur minimaliste sono efficaci nei cambi scena, due grandi impalcature di legno che poste in angolazioni e prospettive peculiari creavano ambienti magri ma molto realistici. Molto belle le proiezioni del mare, elemento importante nell'opera. In stile i costumi di Massimo Poli, molto rifiniti e ben curati ad eccezione della veste di Boccanegra nella prima scena del I atto, la quale non identificava per nulla un doge. Un grande apporto è stato fornito da Michele Della Mea, disegno luci, che ha creato atmosfere e ambienti di ottima resa visiva.

La modesta Orchestra Filarmonia Veneta ha evidenziato molte lacune, probabilmente per le poche prove, e la bacchetta di Ivo Lipanovic non era certo in grado di reggere la difficile scrittura verdiana. Non c'erano traccia di ricercate finezze e cromatismi raffinati, ma una semplice conduzione a senso unico incentrata nel raggiungere la meta senza far ammirare i contorni. Le sonorità spesso trasbordavano in suoni eccessivamente frastornanti. Molto bravo il Coro Lirico Toscano CLT, puntuale e ben amalgamato, istruito da Marco Bargana.

Il cast presentava nomi molto conosciuti nei teatri italiani ad eccezione del soprano. Stefano Antonucci, Simon Boccanegra, offriva una prova decorosa avendo dalla sua un'innata musicalità e un buon mestiere, quello che mancava era la zampata del grande personaggio con accenti, sfaccettature drammaturgiche e teatrali da memorizzare.

Ilona Mataradze era un'interessante Amelia Grimaldi. Dotata di voce molto robusta, importante e bella, ella è stata capace di finezze, ha fornito un ottimo legato, cui si somma una particolare resa teatrale. Vocalmente potremmo dire altrettanto per Ivan Momirov, Adorno, la voce è bella, importante e con squillo, peccato che difetti tecnici gravino sulla prestazione canora la quale è monotona, talvolta nasale o ingolata e non ha il minimo senso del fraseggio.

Altero, ieratico anche se molto grezzo il Paolo Albiani di Ivan Marino, tuttavia riesce con esperienza a tracciare un decoroso personaggio, il quale magari con l'aiuto più oculato del regista avrebbe potuto essere più incisivo. Molto bravo Matteo Ferra, Pietro, e corretto il capitano di Vladimir Reutov.

Per ultimo, ma per questo non certo ultimo, Roberto Scandiuzzi, il quale interpretava Fiesco. Il grande cantante veneto offriva una prova maiuscola di canto e personalità artistica. Non servono certo delucidazioni per commentare una delle più straordinarie carriere di basso, e sarebbe ridicolo oggi pensare che il nostro cantante sia in perfetto possesso dei suoi mezzi, una carriera ultratrentennale lascia anche i segni. Però l'impronta lasciata da Scandiuzzi è impressionante sia per la grande classe di attore sia per il pregevole timbro vocale di autentico basso. La voce talvolta deve venire a patti in qualche passaggio o puntatura, ma è il fraseggio eloquente, la scansione degli accenti, la morbida linea di canto che impressionano ancora. Una grande prova di come si canta e interpreta Verdi.

Simon Boccanegra non è opera facile ma è conosciuta al pubblico, con mio grande stupore alla recita del venerdì la platea era quasi deserta. Eppure io ricordo che anni addietro il Teatro Sociale era sempre affollato, anche da appassionati delle città limitrofi, e per titoli non di repertorio. Che cosa sia successo lo ignoro, ma è molto triste vedere un teatro cosi glorioso e con tanta storia trascurato dai melomani. Quelli presenti hanno decretato al termine un sincero successo a tutta la compagnia con numerose chiamate.

Lukas Franceschini

6/5/2016

Le foto del servizio sono di Nicola Boschetti-Teatro Sociale di Rovigo.