RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Teatro dell'Opera

Prospettive metafisiche del Boccanegra

Attinge a un'iconografia eclettica e varia il Simon Boccanegra pensato da Richard Jones per l'inaugurazione della stagione 2024/25 del Teatro dell'Opera di Roma; dopo dodici anni la scelta è caduta nuovamente su una partitura particolarmente significativa, dalla gestazione lunga e travagliata, che Verdi sentì il bisogno di rivedere alla luce della sua maturata sensibilità. Opera che, come il wagneriano Tannhäuser, mostra alcuni squilibri dovuti appunto alla revisione, compiuta con un linguaggio ormai ampiamente evoluto; tanto più interessante proprio in virtù dell'attenzione che il compositore le riservò, in quanto in essa troviamo le istanze più urgenti del teatro verdiano, in particolare nel rovello che lacera chi detiene il potere, nel dissidio irrisolto fra il dovere e le istanze affettive. Opera dalle tinte oscure il Boccanegra, che a volte evidenzia assonanze con Il trovatore, ad esempio nelle allusioni demoniache di Paolo nel prologo, o ancora nel canto fuori scena di Gabriele nel primo atto, penalizzata nell'apprezzamento del pubblico dall'avarizia in termini di arie memorabili. Giudizio superficiale per un dramma la cui forza risiede nelle molteplici istanze che mette in gioco; una trama che vive di una temporalità dilatata, dal prologo all'epilogo trascorrono infatti molti anni, una vicenda che mostra prospettive storiche di notevole ampiezza (e che per questo ha richiesto un impegno di peculiare dilatazione da parte di Verdi). Nel 2012 sul podio c'era Riccardo Muti, il quale offerse un'interpretazione pregna di scavo psicologico. Oggi a impugnare la bacchetta c'è Michele Mariotti il cui stile direttoriale, molto diverso, si fa apprezzare per la finezza strumentale, per la cura del dettaglio e per la capacità di coinvolgere l'orchestra ai suoi massimi livelli.

La presente recensione si riferisce alla terza recita del 30 novembre, per la quale era previsto il medesimo cast della prima ma che, per un'improvvisa indisposizione di Luca Salsi, ha visto Claudio Sgura nei panni del Boccanegra. Il baritono, che aveva già sostenuto la parte la sera precedente, ha incarnato un protagonista nobile e sofferto, dalla vocalità ombrosa e screziata dai sensi di colpa, senza mostrare segni di affaticamento. Una prova che, anche alla luce delle circostanze nelle quali è maturata, risulta particolarmente apprezzabile. Gli stava accanto il Fiesco altrettanto oscuro e sfaccettato di Michele Pertusi. Eleonora Buratto (Amelia), dal canto suo, sfoggia un timbro accattivante e una vocalità ben sostenuta nelle arcate melodiche e sufficientemente svettante negli impeti drammatici. Molto bravo anche Stefan Pop, un Gabriele Adorno dalla voce generosa e squillante. Gevorg Hakobyan è un Paolo perfido e sicuro nell'emissione, così come efficace è apparso il Pietro di Luciano Leoni. All'inizio dicevamo dello spettacolo; nel prologo e nel finale una scenografia di ascendenza metafisica, evidente il richiamo a De Chirico, ospita l'azione. Nel primo atto un paesaggio irto di scogli prefigura alcune ambientazioni britteniane, mentre nel secondo la stanza del doge diviene un appartamento dalle linee oblique, ammobiliato con uno stile che rimanda agli anni Cinquanta del Novecento. Allestimento nel complesso apprezzabile, anche se una maggiore omogeneità estetica e una più attenta ricerca nella psicologia dei personaggi avrebbe giovato al risultato conclusivo e all'efficacia drammaturgica. Se i costumi contemporanei di Anthony McDonald, autore anche delle scene, vogliono sottolineare il contrasto fra il popolo e la borghesia che sconvolge la società odierna, le sempre più profonde differenze sociali, le gorgiere, le pellicce di ermellino e i mantelli indossati dai notabili genovesi rimandano a un'estetica passatista che contrasta un poco con l'impianto generale dello spettacolo. Forse Jones vuole significare che, oggi come allora, la politica è luogo di intrighi e inganni; qualsiasi soluzione pacifica appare utopistica. Per questo ancora più drammatica e vana appare l'invocazione di Simone: “E vo gridando: pace! E vo gridando: amor!” Grande successo e applausi convinti per tutti.

Riccardo Cenci

5/12/2024

La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni-Teatro dell'Opera di Roma.