RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Parigi

Verdi ha sempre l'ultima parola

Simon Boccanegra non è più – fortunatamente – la rarità che era ancora cinquant'anni fa e con ogni ripresa dimostra che Verdi aveva visto giusto quando malgrado l'insuccesso continuava a crederci e a pensarci e l'opera oggi si da del tu con sorelle più fortunate. Alla Bastille Calixto Bieito, sempre intento a rendere attuale l'opera, mette in rilievo la sua particolare tendenza a rispolverare i titoli maggiori del Bussetano. Questa volta gli riesce meno bene che nel caso del terribile Ballo in maschera di Barcellona, perchè, forse a suo dispetto, è innanzitutto un uomo di teatro e ciò gli ha fatto capire bene alcuni momenti difficili, in particolare la grande scena del Consiglio, che naturalmente qui non si sa cosa sia. Ma se a quanto pare – dai costumi – eravamo nei felici anni Sessanta dello scorso secolo e – dalla nave quasi da Amarcord felliniano ma senza effetto nebbia – in un mondo di fantascienza non particularmente databile, la morte di Maria Fiesco – che qui si vede sul palcoscenico durante l'aria del povero basso – viene causata se non ho capito male (tutto è possibile) dalla peste più medievale, come danno ad intendere tanti topi che morsicano da tutte le parti il corpo nudo della moribonda sul sipario che cala tra le due parti dell'opera e che è stata la goccia che faceva traboccare il bicchiere di un pubblico spazientito, senza però che nessun altro ne soffra. L'aspetto musicale era un altro paio di maniche a cominciare dall'altissimo livello di orchestra e coro dell'Opéra grazie alle direzioni rispettive del maestro Fabio Luisi – preciso ed esatto ma per niente freddo – e di José Luis Basso, sicuramente uno dei migliori maestri di coro del momento.

In un ruolo che sicuramente ogni baritono sogna d'interpretare – anche senza la sua bella aria – Ludovic Tézier tornava a evidenziare la sempre più grande affinità con il baritono di Verdi: voce bella, potente, dolce, musicalissima, senza mai esagerare l'intenzione della parola, con un fraseggio aristocratico e un'interpretazione difficile che gli chiede una regia che lo fa stare tutto il tempo sul palcoscenico (Verdi e i librettisti non sapevano quando dovevano dare un momento di riposo?) e per di più in posizioni scomode. Mika Kares è una di quelle voce nordiche da basso molto importante e risonante ma qua e là troppo fissa, che qui viene sottolineata da un'interpretazione volutamente ieratica di Fiesco. Nicola Alaimo, il cui Paolo soffriva già dall'inizio di una sudorazione estrema che lo costringe a girare con un secchio pieno d'acqua per rinfrescarsi con un fazzoletto alla Pavarotti per poi con l'età darsi anche alle pillole, conciato come un maresciallo napoleonico, offriva nondimeno una bellisima prova di canto in un personaggio veramente spiacevole. Maria Agresta è cantante dalla voce importante, non particolarmente bella nè personale, e oggi spicca in particolare nell'abilità di filare i suoni. Il registro grave è stato sempre debole, ma l'acuto incomincia adesso a diventare asprigno in alcuni momenti, probabilmente grazie a delle scelte di repertorio rischiose o addirittura imprudenti. Francesco Demuro ha risolto quasi tutti i problemi che rendevano instabile l'acuto e il timbro è sempre bellissimo, ma nè volume nè estensione sono quelli che richiede Adorno, un personaggio che sfida ogni regista visto che è stato l'unico uscito quasi indenne dagli sbalzi della fantasia di Bieito. Molto interessante il giovane basso Mikhail Timoshenko nei panni di Pietro e buono l'intervento del tenore della Corsica Cyrille Lovighi nel breve ma non facile ruolo del capitano nell'ultimo atto.

Le ovazioni di una sala strapiena a fine spettacolo erano solo da compararsi con l'uragano di fischi quando si affacciavano alla ribalta al completo tutti i responsabili dell'allestimento – reazione che a tutti ma in particolare a Bieito sembrava molto gradita visti i sorrisi di soddisfazione.

Jorge Binaghi

21/11/2018

La foto del servizio è di Agathe Popeney.