RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Simon Boccanegra inaugurale

al Teatro Municipale di Pacenza

Oserei dire che, tra tutti i rifacimenti verdiani, quello di Simon Boccanegra (Milano, Teatro alla Scala 1881), messo in atto a distanza di un quarto di secolo dalla prima versione, mi sembra il più felice. Andato in scena nel 1857 alla Fenice di Venezia il primo Simone, su libretto di Francesco Maria Piave e Giuseppe Montanelli, non aveva convinto il pubblico, soltanto in parte la critica e lasciato insoddisfatto lo stesso Verdi, che, in procinto di dare a Rimini Aroldo, metamorfosi del problematico Stiffelio triestino di sette anni prima, preparava già il massimo esito costituito da Un Ballo in maschera. Ormai nella piena maturità, dopo le opere gigantesche fin qui create, il Bussetano aveva tentato di «cogliere il senso di una realtà /…/ infinitamente più ricca in confronto ai vecchi simboli di passione e di gestualità esistenti nel melodramma» (Claudio Casini). E in buona misura c'era riuscito, se si tiene conto che, nel rimaneggiamento poi compiuto sulla traccia del libretto rinnovato da Arrigo Boito, il vecchio Boccanegra migra massicciamente nel nuovo, che snellisce, arricchisce e raffina la struttura del primo, introducendovi pagine di alto rilievo.

Genova – dove è ambientata la vicenda, sostanzialmente ricalcata sulla figura storica del trecentesco ex corsaro Simone Boccanegra assurto al dogato della città ligure, attraverso la mediazione del dramma omonimo di Antonio Garcia Gutierrez (1843) – è una delle città italiane dove Verdi era più di casa. Tra il 1840, agli inizi della carriera teatrale, e il 1900, a pochi mesi dalla scomparsa, vi ci si recò assai spesso e, dopo il matrimonio con Giuseppina Strepponi, prese l'abitudine di svernarvi ogni anno con la moglie per lunghi soggiorni. Simon Boccanegra ci fa avvertire la familiarità, per non dire la complicità, di Verdi con la Superba: nella stringatezza della musica, nel respiro del mare che anima suggestivamente le note sin dal preludio. Ed è ammirevole la stringatezza della partitura, dove non si trova una nota di troppo, una ridondanza qualsiasi, poiché tutto si rivela essenziale nonché prezioso.

Nella stupenda cornice del Teatro Municipale, capolavoro primottocentesco di Lotario Tomba e Alessandro Sanquirico e ammiratissimo all'epoca da Stendhal, Simon Boccanegra ha inaugurato degnamente la stagione lirica piacentina, che osa mettere in cartellone titoli meno o poco battuti altrove, dal Corsaro di Verdi alla Gioconda di Ponchielli (diventata ormai una vera rarità), come nella stagione precedente aveva rispolverato (è il caso di dire) con notevole successo la maliosa Wally di Catalani.

Il cast era costituito, con alcune eccezioni, dai giovanissimi della “scuderia” (Progetto Opera Laboratorio) di Leo Nucci, tuttora un Boccanegra di riferimento, che ha inoltre curato la regia coadiuvato da Salvo Piro. Tutti giovani promettenti, anzi liete sorprese, nei rispettivi ruoli assai impegnativi. Ancor più lieta sorpresa l'ha suscitata il protagonista, il quarantenne baritono bulgaro Kiril Manolov, dominatore della scena già con l'imponente, maestosa presenza. In virtù di una dizione attenta ed eloquente, ha valorizzato al massimo la parola scenica verdiana, con musicalità e padronanza dei registri, coniugando il cantante con l'interprete a onore del paese da cui proviene. Il suo antagonista non solo politico è Jacopo Fiesco, padre della sedotta Maria morta all'inizio dell'operadalla quale Simone ha avuto una figlia, anch'essa di nome Maria, ritrovata dopo tanti anni (tra il Prologo ed il primo Atto intercorrono venticinque anni). Fiesco era il basso Mattia Denti, anche lui extra-vivaio, compenetrato vocalmente nel granitico ruolo, caro ai grandi bassi, e nella sua evoluzione psicologica e morale.

Paolo, lo Jago in miniatura, che spinge al soglio, e poi tradisce e avvelena in extremis per un amore frustrato, Simone, il quale dal canto suo non ha esitato a sconfessarlo e spedirlo sul patibolo, ha trovato nel giovane baritono Ernesto Petti un interprete di ammirevole prestigio vocale e scenico. Gabriele Adorno, suo fortunato rivale, era il tenore Ivan Defabiani, puntuale nell'ardore, nell'irruenza e nello squillo. L'amata e amante Maria era il soprano Clarissa Costanzo, fresca, spontanea e dolcissima con tutte le note giuste. Minore spazio l'opera accorda al personaggio di Pietro, il popolano opportunista braccio destro e complice di Paolo, ma il basso Cristian Saitta vi si è distinto con ragguardevole impegno. Completavano onorevolmente la distribuzione il mezzo soprano Paola Lo Curto (Ancella) ed il tenore Jenish Ysmanov (Capitano dei balestrieri).

Pier Giorgio Morandi ha diretto l'Orchestra dell'Opera Italiana, valorizzando il respiro, l'impeto, gli accenti, la tinta e la passione di questo melodramma, che si staglia con l'inconfondibile personalità nell'insieme della produzione verdiana.

Sobria, elegante e funzionale, la scenografia medievale di Carlo Centolavigna, sotto le luci appropriate di Carlo Schmid, si è giovata dei bene assortiti costumi d'epoca di Artemio Cabassi. Misurato ed efficace lo svolgimento dell'azione, in cui l'esperienza della regia ha ben guidato solisti e masse.

Avendo assistito alla seconda parte dell'anteprima e alle due rappresentazioni successive del Boccanegra in un teatro gremitissimo, ho potuto constatare con compiacimento la calorosa accoglienza del pubblico non solo piacentino ogni sera, un pubblico che, intesa l'ultima nota, non aveva eccessiva premura di abbandonare la sala.

Concludo con il brillante e versatile Coro del Municipale, autorevolmente diretto da Corrado Casati, per un dettaglio che mi riguarda. Dopo la seconda recita, nel corso di una serata conviviale in altra sede, ha eseguito in mio onore, accompagnato al piano da Casati, l'elettrizzante Coro del Bivacco dall'Assedio di Leida di Errico Petrella (Milano, Scala 1856), un'opera oggi ingiustamente dimenticata, al pari del compositore palermitano, e coeva del primo Boccanegra.

Fulvio Stefano Lo Presti

4/11/2017