Il Requiem di Mozart
inaugura la Stagione Sinfonica del Teatro Bellini di Catania
Nel mese di luglio del 1791 Wolfgang Amadeus Mozart si trova da solo a Vienna perché la moglie Konstanze, incinta e soffrente, si era trasferita a Baden per curarsi. Una sera bussa alla sua porta uno sconosciuto magro e vestito di grigio che, rifiutando di dire al compositore il proprio nome e chi lo manda, gli consegna una lettera, che oltre a contenere venerazione, ammirazione ed elogi per la sua musica gli pone tre richieste: sarebbe disposto a scrivere la partitura di una messa da requiem? Quanto tempo impiegherebbe? Quale sarebbe il suo compenso? Mozart accetta l'incarico, anche perché l'uomo misterioso gli dice che avrà subito un anticipo di 50 ducati, ma nel contempo specifica che non può fissare una data precisa di consegna perché proprio in quei giorni sta lavorando a Il flauto magico e a La clemenza di Tito. Preso congedo, l'uomo si ripresenta dopo qualche giorno con l'anticipo pattuito, ribadendo però che il committente intende restare anonimo.
La tipologia mesta e cupa della composizione, lo stato di solitudine, la disposizione generale di stanchezza e prostrazione fisica del musicista che lavorava a più opere contemporaneamente, la sua sensibilità stressata, giocarono un ruolo perturbante sulla sua psiche e a testimonianza ne rimane una lettera scritta a un corrispondente, forse il librettista Da Ponte, il 7 settembre 1791: «Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Sono inebetito, conto a forza e non posso non pensare all'immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi sollecita, mi chiede con insistenza il lavoro. Vado avanti, perché il comporre mi stanca meno del riposo. D'altra parte non ho più da temere. Lo sento, a quel che provo, che l'ora sta per suonare; sono in procinto di morire; ho finito prima di aver goduto del mio talento. Eppure la vita era tanto bella, la carriera s'apriva sotto auspici tanto fortunati, ma il proprio destino non può essere cambiato. Nessuno può misurare i propri giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza. Ecco, termino il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto». Secondo alcuni Mozart immaginò nell'uomo un persecutore e nunzio dell'al di là, credendo di scrivere per se stesso il Requiem, la cui ultima nota sarebbe coincisa con la propria morte. In verità il musicista non riuscì a ultimare la bellissima pagina, che fu completata dal suo allievo Franz Xaver Süssmayr, e ciò alimentò e incentivò la diceria che proprio sulle note della fatale partitura dovesse concludersi la sua vita terrena! La storia invece ci ha in gran parte svelato il mistero – un mistero alimentato dalle casuali coincidenze cronologiche. Infatti l'uomo sconosciuto non era altri che un valletto del Conte Franz von Walsegg zu Stuppach, un dilettante di musica che, per appagare il proprio narcisismo e la propria vanagloria, commissionava ai più abili e famosi autori i brani che poi esibiva come sue creazioni originali. Infatti egli aveva commissionato il Requiem per poi spacciarlo come proprio in occasione di una funzione commemorativa da eseguirsi nell'anniversario della morte della propria consorte.
La sublime pagina mozartiana, dalla quale si espande ed effonde un possente spirito di arcana, grandiosa e mistica ieraticità, venerdì 4 gennaio (replica il 5) ha fatto da battesimo alla Stagione Sinfonica 2019 del Teatro Massimo Bellini di Catania. L'orchestra del nostro teatro si è avvalsa della conduzione del maestro Gianluigi Gelmetti, direttore principale ospite del Bellini, che ha saputo far sbalzarne dalla partitura tutta la potente spiritualità e la forza trascendente. Il giudizio divino finale che si abbatte inesorabile sugli improbi da un lato e dall'altro innalza i giusti alla vita celeste ha trovato ampio spazio nella sua interpretazione, sempre tersa nelle sonorità ed equilibrata nei tempi. Forse un piccolo alleggerimento nei forti e nei fortissimi ne avrebbe esaltato ancor più la bellezza. Le quattro voci soliste, Elena Galitskaya (soprano), Veta Pilipenko (mezzosoprano), Giovanni Sala (tenore) e Karl Huml (basso), hanno contribuito non poco alla riuscita del concerto, evidenziando una dizione chiara e pulita unita a un controllo elegante e pieno delle capacità vocali. Il coro preparato con cura e impegno dal maestro Luigi Petrozziello ha svolto il suo compito in modo impeccabile, concorrendo a plasmare l'aspetto altamente contemplativo della stupefacente pagina religiosa.
Giovanni Pasqualino
5/1/2019
La foto del servizio è di Giacomo Orlando.
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