Barcellona
Il ritorno della Sonnambula
Dodici recite del titolo belliniano (è vero che è molto amato qui e con un passato illustre – Barrientos e Schipa per esempio) possono sembrare un po' troppe, anche se con due compagnie. La prima, che dovrebbe essere quella delle ‘star', offriva solo (dopo che la Damrau, che doveva fare il suo debutto come Amina, si era cancellata) il nome di Juan Diego Flórez – perfetto come al solito, inutile dirlo, ma poco interessato a immedesimarsi nel ruolo e nell'azione (Non so quanto siano veri i rumori sul forfait alle prove). Patrizia Ciofi passava così, dalla seconda compagnia alla prima: indubbiamente è stata accettata da parecchi ma non da tutti visto che si devono sorvolare troppe cose nel suo canto (la voce non è stata mai ‘per sè' di prima grandezza, che è esattamente quello che richiede la protagonista). Erano al suo debutto a Barcellona il Conte (un Nicola Ulivieri vocalmente sicuro ma poco interessante nel canto e ancora meno come personaggio), Lisa (una magnifica Eleonora Buratto, di timbro particolarmente rigoglioso, che potrebbe essere un'Amina molto adeguata) e il maestro Daniel Oren, che cantava troppo forte e sceglieva tempi troppo lenti per un'orchestra che fortunatamente suonava bene.
Davvero sugli scudi il lavoro (scenico e vocale) del coro istruito come sempre (ancora) da José Luis Basso. Molto corretti i comprimari (da rilevare il colore – ma ohimé anche il vibrato – della Teresa di Gemma Coma-Alabert, e il buon canto e materiale – purtroppo si agita sempre troppo. dell'Alessio di Álex Sanmartí. La messinscena di Marco Arturo Marelli, vista già a Parigi, Londra e Vienna, ‘aggiorna' l'azione a tempi e luoghi simili a quelli del romanzo di Thomas Mann, La montagna incantata (non si tratta di una conclusione personale, lo dicono tutti): questo consente talune caratterizzazioni interessanti dei personaggi ma molti controsensi e un'attività frenetica non sempre motivata. Molto eleganti i costumi di Dagmar Niefind e la scena unica dello stesso regista, colpevole di soluzioni forzate –camera del Conte, scena finale, con tanto di rondò per diva davanti al sipario. Lo spettacolo veniva ripreso da Julia Burbach.
Le cose andavano molto meglio con la seconda compagnia, che riusciva perfino a dare più vita all'azione drammatica: il maestro Oren si mostrava più vivace – la recita, con parecchi applausi in più dell'altra, finiva cinque minuti prima. Il debutto – finalmente – di Celso Albelo in Elvino confermava ulteriormente (se bisogno ce n'era) le sue straordinarie qualità e, benché troppo veemente in certi momenti, la linea di canto non ne soffriva in alcun modo: bell'esempio per tanti –anche di grido – ‘cantanti attori' che con le loro smorfie cercano di coprire le carenze tecniche o vocali. Annick Massis è stata un'Amina nella grande tradizione dei soprani liricoleggeri e dimostrava quanto – e bene – abbia lavorato il ruolo dal suo ormai lontano debutto nella parte a Liegi, e per di più il registro acuto e sovracuto si mantiene ancora pulito e squillante. Molto buona anche la Lisa di Sabina Puértolas, vivacissima nel gesto e nell'accento e padrona di un'ottima tecnica (come la Burato , molto applaudita nella sua non facile aria del secondo atto). Miracoloso il Conte di Michele Pertusi, di grandissima categoria scenica e vocale e che si conquistava con un ‘Vi ravviso' da manuale l'applauso del pubblico.
Jorge Binaghi
30/1/2014
Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.
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