Una Sonnambula onirica al Teatro dell'Opera
Trionfa Jessica Pratt nei panni della protagonista
Sfugge le consuete atmosfere idilliche e campestri La sonnambula pensata da Giorgio Barberio Corsetti, sfiora gli abissi psicoanalitici e vagamente sovrannaturali appena presentiti da Bellini, per immergersi in atmosfere oniriche e fiabesche perfettamente aderenti alla sostanza dell'opera. Lo spettacolo, già visto a Bari e ora in scena sul palcoscenico del Costanzi, appare rinnovato nei video di Gianluigi Toccafondo, i quali garantiscono dinamismo all'azione pur risultando a volte un poco didascalici. Una sorta di casa di bambola arredata con mobili sovradimensionati ospita l'azione, a suggerire un luogo altro, dimora di effimere illusioni infantili. Nel secondo atto, al contrario, piccole casette illuminate suggeriscono l'ambientazione del villaggio, un microcosmo la cui quiete viene scossa dall'ala oscura del romanticismo. Il mondo di Sonnambula, come la sua protagonista, oscilla pericolosamente sull'abisso, in bilico fra i principi illuministici incarnati dal Conte Rodolfo e le inquietudini di un Ottocento infestato dagli spettri dell'irrazionale. La stabilità borghese viene costantemente turbata. Bambole e pupazzi introducono discretamente il tema del doppio tanto caro al romanticismo letterario, scimmiottando le azioni dei protagonisti. Amina, in preda al sonnambulismo, scende nella stanza del Conte servendosi dei cassetti del mobilio, in una declinazione particolarmente poetica della scena destinata a metterne in dubbio la sua virtù di fronte agli occhi stupiti della comunità. Quando Elvino spara all'orsacchiotto, sorta di franco cacciatore nostrano, è come se uccidesse l'innocenza, aprendo le porte all'irruzione del reale. Merito di Barberio Corsetti aver evitato ogni tentazione oleografica, confezionando uno spettacolo ricco di fantasia, anche se alcuni spunti avrebbero meritato maggior approfondimento. Resta l'impressione di una diffusa aura sognante, che nella sua pregnanza estetica evoca gli universi poetici tanto di un Leopardi quanto di un Puškin. In quest'ottica lo scenario naturale diviene simbolo di una condizione interiore, apparentata strettamente con il sogno. Si pensi al Leopardi degli Idilli, nei quali la poesia attinge all'immaginazione quale veicolo per recuperare una felicità vissuta forse solo nell'infanzia. La peculiare vaghezza del recanatese pare riflettersi nelle atmosfere eteree e indefinite del musicista siciliano, in un dialogo particolarmente fecondo.
Riguardo la parte musicale, Speranza Scappucci appare molto più sicura rispetto a quanto le avevamo sentito fare in occasione del Così fan tutte , in maggiore sintonia con l'universo belliniano. Detto ciò, la sua direzione è scrupolosa e precisa, chiarissima nell'esposizione, anche se a tratti carente di fantasia interpretativa. Jessica Pratt è un'Amina memorabile, diafana e immateriale come si conviene. Il virtuosismo appare fluido, il fraseggio levigato, la tecnica impeccabile. La cantante si è inoltre scrollata di dosso quell'aura algida che alcuni le rimproveravano, offrendo una lettura di “Ah! Non credea mirarti” colma di partecipata emotività. Juan Francisco Gatell è un buon tenore di grazia, a proprio agio quando deve fraseggiare con morbidezza, in difficoltà nei momenti di fervente passionalità. In particolare gli mancano il timbro caldo e l'afflato lirico del tenore romantico, gli acuti svettanti che comunque la parte richiede. Dario Russo veste i panni del Conte Rodolfo con nobiltà e autorevolezza. La voce non è enorme, ma appare ben governata. Brava Valentina Varriale, diplomata al Fabrica Young Artist Program del Teatro dell'Opera, scenicamente e vocalmente credibile nel ruolo di Lisa, apprezzabile il resto del cast. Notevole successo di pubblico.
Riccardo Cenci
26/2/2018
La foto del servizio è di Yasuko Kageyama.
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